C’era una volta Roma, quella tra la metà degli anni ’50 e i settanta che reclutava compositori e performer strumentali di altissimo livello anche fuori dalle mura, per farli confluire nelle grandi orchestre televisive, ma anche quella della RCA italiana S.p.a, attiva nella capitale dalla fine del ’51, palestra e “bottega dell’arte” inesauribile, come ci ha raccontato il maestro Franco Micalizzi, dove i musicisti si scambiavano ruoli, occasioni, esperienze; le stesse che verranno capitalizzate durante l’avventura del primo Forum Music Village, lo studio fondato in città da Bacalov, Piccioni, Trovajoli e Morricone insieme a Enrico De Melis e che darà la luce a numerose colonne sonore, così come accadrà per la FlipperMusic di Romano Di Bari, fondata quasi contemporaneamente allo studio Forum e specializzata nella produzione di librerie sonore cine-televisive, spesso archiviate in modo funzionale ma legate a tutti quei compositori, nati nella capitale oppure adottati artisticamente dalla stessa, che lavoravano per le immagini in un clima culturale in ebollizione, parallelo all’industria del cinema di genere e talvolta sfornando prodotti di qualità nettamente superiore.
C’era una volta Roma era anche il titolo di un evento ideato e diretto artisticamente da David Nerattini tra il 2010 e il 2011, come omaggio a questi anni di grande fermento, una sintesi audiovisiva che coinvolgeva musicisti e maestranze tra passato e presente per testimoniare il forte legame che teneva idealmente insieme i protagonisti di quel patrimonio creativo, con gli ensamble attivi sul territorio che continuavano a lavorare sulla musica strumentale sotto il segno di una radice comune.
Questo per dire che con il moniker “La Batteria” non viene veicolato un divertissment estemporaneo, nato sulla scia di altri progetti sintonizzati su frequenze simili, come Calibro 35 o i più recenti ma altrettanto validi La Band del Brasiliano, perché il quartetto romano è costituito da musicisti che provengono da esperienze di lungo corso, in qualche modo già orientate al risultato di sintesi che costituisce l’ossatura di questa prima esperienza condivisa.
Oltre a Nerattini alla batteria e alle percussioni, ci sono Emanuele Bultrini a tutte le chitarre, il mandolino e il fischio, Paolo Pecorelli al Basso e Stefano Vicarelli al piano e alle tastiere (dall’Hammond C3 al Fender Rhodes, passando per il Mini Moog e il Mellotron), tutti e tre parte del progetto Fonderia, attivo da più di un decennio nei territori di un Jazz apolide contaminato con psichedelia e funk e dai primi anni del nuovo millennio (quindi in tempi non sospetti) protagonisti di alcuni eventi dedicati alla rimusicazione di film muti.
Era quindi nell’aria da tempo un progetto più marcatamente “di genere” come “La Batteria”, in grado di far convergere intrattenimento e sperimentazione, avvicinandosi maggiormente al primo senza dimenticare incursioni prog, Jazz, funk, Kraut e anche folk, tutte in un corpo solo dalle caratteristiche mostruose, perché se un brano come “Chimera“, che introduce la raccolta di dodici tracce, sembra riferirsi in modo originale alle radici popolaresche locali attraverso l’omaggio ad un compositore dimenticato e geniale come Romolo Grano, la successiva “Vigilante” mette insieme il Lalo Schifrin più funk con la tensione dei Goblin, nel tentativo spiazzante e riuscito di mescolare le carte, strategia combinatoria che in un certo senso si ripete in “Scenario” e che in “Formula” lascia il posto a quel confine tra groove ed elettronica analogica (il muro di synth dei fantastici Patchani Brothers) che si affacciava in alcune colonne sonore di Franco Micalizzi verso gli anni ’80 o in quelle di Walter Rizzati, talvolta prima o poco dopo la black music disossata e algida di John Carpenter.
Se quindi una buona parte dell’album cerca di assestare il pugno e la forza d’urto di un immaginario “criminale” tra Italia e Stati Uniti, quello di Micalizzi ma anche di Mack Browne & The Brothers, si rimane improvvisamente sorpresi dalla capacità del quartetto di trasformare l’ordito in qualcosa di diverso; un brano come “incognito” sembra scritto per la blaxploitation di Gordon Parks, ma improvvisamente, aprendosi alla fisarmonica di Feliciano Zacchia, comincia a descrivere altre latitudini, così come accade con la voce di Ghita Casadei in “Zero” e nella splendida “Manifesto“, innesti Morriconiani in un contesto apocrifo più che strettamente filologico e per questo fortemente evocativi; tra l’altro, la voce della Casadei non cerca di seguire a tutti i costi la lezione di Edda Dell’Orso, imboccando una strada più contaminata, sarà una nostra allucinazione auditiva, ma a un certo punto ci è sembrato che seguisse tracce mediorientali, sulla linea sincretica di Yasmine Hamdan.
“La Batteria” è un “esordio” potente e ricco di idee, lontanissimo dalle trappole dell’imitazione citazionista, costruisce l’ipotesi di una musica di genere, smarginando confini e riferimenti, mescolando il deserto western con le città a mano armata, astor piazzolla con il funk più urbano, il groove con il post rock ante litteram firmato The feed-back; in fondo il miglior meltin’pot per il Jazz più vivo e divertente tra quelli disponibili.