Di Alessandro Alessandroni c’è poco da dire: un uomo che è riuscito ad attraversare indenne i decenni, lavorando come un ossesso a decine di pellicole e a centinaia di dischi, come compositore unico o in compagnia di personaggi come Nino Rota e Ennio Morricone. Il fischio più celebre del cinema, quello appartenente a Il buono, il brutto e il cattivo, ma anche uno dei padri nobili della bossanova in Italia, polistrumentista, sperimentatore, genio compreso da molti e omaggiato anche in tempi recenti (parlo delle collaborazioni con Baustelle e Guano Padano). Non è necessario incensare questo personaggio più di quanto sia stato fatto finora, ma il cappello in questione è d’obbligo per spiegare un disco a cappella così complesso come quello dei Cantori Moderni, dove partecipò la moglie Giulia, il soprano Edda Dell’Orso, Augusto Giardino, Franco Cosacchi, Nino Dei, Enzo Gioieni e Gianna Spagnulo.
Stampato nel 1970, questa library recuperata direttamente dagli archivi della Flipper Music/Deneb dalla Penny Records insieme ad altri titoli, tra cui il notevole Divagazioni di Nino Rapicavoli, non è così conosciuta, non raccoglie pezzi memorabili presenti in film d’autore o documentari importanti, come accadeva per buona parte delle librerie sonore, nate in contesti “funzionali”. Questo proprio per la caratteristica di essere fondamentalmente un disco di voci, con poca batteria, qualche tastiera se necessario. Prima che Bobby McFerrin rendesse, anche con la tecnologia del suo tempo, tutto più armonico e piacevole, la musica a cappella aveva ancora moltissimi retaggi classici, da infrangere prima possibile (e di questo ringraziamo anche Demetrio Stratos ed il suo strumento preferito: la voce). L’appetibilità delle big band messe in piedi da Umiliani negli stessi anni è l’esatto opposto di questo disco scarno, ma comunque testimonianza di una sperimentazione illimitata e libera.
Tra ambientazioni in stile felliniano (l’atmosfera circense, agrodolce, dai colori lucenti e dal puzzo di sterco, insomma) e fumi da bassa bergamasca, questo disco non punta a essere compiacente, quanto a esplorare, talvolta anche con melodie imbarazzanti (come Ghen-ghen-ghe e Parata scherzosa), ogni tipo di musica popolare. Una storia potrebbe costeggiare le pagine de Gli Indifferenti, Fuga d’amore riesce nell’intento spezzato dell’ultimo disco di Tellier, La partenza è un soul soft intaccato dalla chitarra sofferente, L’appuntamento non un rifacimento del celebre pezzo vanoniano ma un valzer da balera. Insomma, tutti i percorsi nazional-popolari dell’epoca sono stati esplorati, e non diremmo un’eresia affermando che se prodotto all’epoca odierna un disco così esplorerebbe hip-hop e ballad alla Nannini. Questa la forza insita nel disco, che all’ascolto non emerge subito.
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