Amy Spaltro, nota ai più con il bizzarro nome d’arte Lady Lamb The Beekeeper, viene dal Maine e ha alle spalle più o meno un lustro di produzioni lo-fi amatoriali, ideate nel magazzino del negozio di video dove lavorava. Ora con Ripely Pine giunge anche per lei il momento del debutto ufficiale, grazie alla Ba Da Bing, etichetta di Brooklyn che già ha nel roster nomi interessanti come i Natural Snow Buildings. Amy ha poco più di vent’anni e lo si capisce ascoltando il disco: nelle canzoni di Ripely Pine si sente infatti tutta la voglia di fare, di inserire tutte le idee e le influenze maturate negli anni dell’adolescenza, di esprimere i propri sentimenti e quando necessario anche di urlarli al mondo. Il risultato è quindi pregno di sincerità, a volte fuori misura e un po’ troppo verboso, ma in generale di ottima fattura, sulle orme di grandi nomi dell’alt-folk di questi ultimi anni, come St. Vincent o gli Okkervil River (da cui la verbosità), e nei momenti più pop di cantautrici con la chitarra come KT Tunstall. Le enormi potenzialità di Amy si intuiscono già dal primo brano dell’album, Hair To The Ferris Wheel, che parte quasi jazzato con atmosfere da club fumoso per poi crescere e diventare rock, come faceva la già citata St. Vincent a inizio carriera. Poi arriva Aubergine, che si muove in ambienti folk-rock con una narrazione alla Will Sheff e arrangiamenti molto ricchi, in cui fanno la loro figura anche i fiati. Ed è solo l’inizio, perché andando avanti spuntano altri grandi momenti: Florence Berlin e Little Brother, che sono i brani più classicamente cantautorali, chitarra e voce in gran spolvero; Bird Balloons, dove si sentono buckleyismi virati rock in una valanga di cambi di ritmo e di atmosfera simili a quelli sentiti ultimamente da Anna Calvi, anche se in questo caso con meno classe; You Are The Apple, sette minuti in cui entra un po’ di tutto su una base che è una semplice ballata mid-tempo da FM americana, ma che diventa uno struggente folk minimale alla Essie Jain, un alt-rock dai sapori anni ’90, un post-qualcosa con un sacco di archi per poi tornare alle origini; Crane Your Neck, altro pezzo che tende all’esagerazione, superando i sei minuti e muovendosi su un cantautorato elettrico, aggressivo e pentitissimo, in cui Amy butta fuori un sacco di dolore e frustrazione; The Nothing Part II, sarabanda allegra e corale che può far venire in mente collettivi come i Polyphonic Spree. Tantissima carne al fuoco quindi in questo esordio, che lascia presagire un futuro interessante; il suggerimento per Amy è di incanalare meglio la propria creatività, spalmando idee e soluzioni in modo più equilibrato. Dopodiché il futuro sarà suo.