Levità è la ragion d’essere di Land Lines, la sospensione e l’attesa il trait d’union tra ambiente sonoro, note, supporto e ascolto.
Perché se la penna di Martina Grbac, Anna Mascorella (entrambe a violoncello e voce) e Ross Harada (batteria e percussioni) verga piccoli quadretti dream/pop/folk, è nella confezione che la loro stessa pregnanza assume linee da camera indie con gli archetti a dettare regole cui piegare le classiche melodie da sottocultura acustica a stelle e strisce. La veste diviene vera protagonista di un debutto che scorre ininterrotto, breve, veloce, in cui i brani si subordinano alle direttive dell’estetica per divenire composizione unica, sezioni di un’unica canzone quasi indistinguibili l’una dall’altra se non per impercettibili variazioni emozionali o, più prosaicamente, per struttura e ritmo.
Vagando da tentazioni quasi alt-dance rock (Bomb Blast) dal passo svelto e sbarazzino, che con altro colore poteva star comoda nel canzoniere di Yeah Yeah Yeahs; a svenevoli indie pop in rosa su modello Cocorosie (Anniversary); a indistinti modelli islandesi (Boards And Walls) o più decisi accenti blues con marcate ascendenze Feist (Wreckage, Instruments And Books) e qualcosina dei Grizzly Bear a vagare un po’ovunque, sino alla marcia funebre di Crows, Vultures, Bulls che si trascina finalmente in un bel sepolcro gotico americano. Tutto confluisce in uno scenario dai colori grigiastri ma dalla vitalità nevrotica (il fischiettare di Vegas) che, sebbene necessiterebbe di una più scrupolosa attenzione nei riguardi di una scrittura ad oggi troppo monocorde, regala momenti di buon intrattenimento e snobistiche distrazioni. Supervisione di Bob Weston… e si sente.