Autodidatta e istintiva, Linda Eastman si avvicina alla fotografia dopo la laurea in storia dell’arte all’Università dell’Arizona. Ad iniziarla sono le lezioni di Hazel Larsen Archer, già insegnante di Robert Rauschenberg, Cy Twombly e Stan VanDerBeek nei primi anni cinquanta, oltre che straordinaria ritrattista di volti e oggetti catturati nel trascorrere della vita quotidiana. Non è un caso che lo stile emozionale e informalmente documentaristico di Linda trovi le sue radici più profonde durante le giornate di questo importante apprendistato. Un percorso anti-apologetico che applica in termini pratici alla fine degli anni sessanta, assorbendo la lezione di Diane Arbus e Lee Friedlander nella direzione di una maggiore verità del “sentire” soggettivo. Ecco perché le sue prime esperienze a partire dal 1966 offrono una prospettiva diversa e inedita dell’industria musicale, osservata attraverso i backstage e oltre il diaframma imposto dall’ufficialità, che le consentirà di osare, ritraendo artisti come Aretha Franklin, Jimi Hendrix, Bob Dylan, Janis Joplin, Simon & Garfunkel, The Who, The Doors, The Grateful Dead, fuori dall’aura divistica e completamente dentro le incertezze dell’esperienza comune.
Se questa prima parte dell’attività di Linda McCartney come fotografa è ben documentata nell’indispensabile “Linda McCartney. Life in Photographs“, il volume pubblicato da Taschen nel 2011, il nuovo “Linda McCartney. The Polaroid Diaries“, recentemente diffuso dalla casa editrice tedesca, completa il quadro e aiuta a comprendere anche in termini interpretativi, la prima fase della sua carriera.
Se Instagram ne ha imitato il successo, replicandone il formato quadrato, parte del fascino tattile dell’esperienza Polaroid, viene determinato da una serie di fattori iripetibili, tra cui l’estrema prossimità tra l’oggetto e i soggetti coinvolti, tanto da stabilire una dimensione relazionale e intima quasi totalmente perduta, l’instabilità dei colori, un processo di sviluppo alterabile durante il suo breve corso, l’imprevedibilità del risultato e l’impermanenza del tempo, l’unicità e il carattere “decisivo” dello scatto.
Linda si avvicina alla fotografia istantanea nei primi anni settanta, quando la Polaroid SX-70 irrompe sul mercato, cambiando le regole dei dispositivi di consumo e anche il ruolo dello sguardo documentale. Una rivoluzione che sollecita l’interesse di artisti come David Hockney, Andy Warhol e Ansel Adams, anche nella forzatura dei limiti tecnici del mezzo, fino ad arrivare a cineasti come Wim Wenders, che nei primi anni settanta realizzò più di 12.000 scatti con il noto dispositivo istantaneo. Lo stesso Wenders racconterà il mezzo esploso durante “l’alba dell’era digitale”, come una “promessa del futuro a venire”.
Tutti “limiti” industriali che in termini espressivi hanno consentito di sviluppare un’estetica dell’istante stratificata ed emozionale, che include anche la vertigine della perdita, quella di una natura chimica intrinseca che può improvvisamente trasformarsi in un buco nero che tutto cancella.
I confini del formato fotografico che Linda aveva sperimentato alla fine degli anni sessanta, sviluppando una personale elegia intima e quotidiana, si aprono a nuovi orizzonti con l’adozione del sistema Polaroid.
I soggetti raccolti nelle 230 pagine del volume Taschen hanno tutti una qualità intima e famigliare e comprendono ritratti di Paul, dei figli, degli animali di casa, oltre alla flagranza della vita di campagna nel Sussex e in Scozia a Campbeltown, luoghi dove Paul acquistò le sue fattorie.
La dimensione privata diventa esemplare per la capacità della McCartney di definire un “set” in modo naturale e invisibile, non solo per quanto riguarda l’attenzione alle luci d’ambiente e all’esplosione di alcuni colori entro una palette spesso tendente al monocromatismo, ma anche per l’impiego di alcune tecniche di manipolazione del formato, tra cui la produzione di alcuni scatti astratti sul movimento e la luce e un buon numero di esposizioni multiple, che rappresentano uno degli aspetti di maggior fascino nel lavoro della McCartney con la fotografia istantanea.
L’esposizione multipla, sarà bene chiarirlo, non era una funzione immediatamente a portata di mano con i dispositivi istantanei, perché presupponeva un vero e proprio hacking della cartuccia in plastica, così da bloccare temporaneamente l’attivazione del meccanismo che consentiva l’uscita della foto dalla macchina. La funzione, molto più semplice con le nuove Polaroid Originals messe in commercio nel maggio 2017 dalla Impossible Project, è stata definitivamente implementata nelle Onestep+ , ma quando Linda McCartney scattava con la SX-70 o la successiva 600 il gioco e la sperimentazione avevano ancora una qualità aurorale.
Se il close-up, le espressioni del volto fermate dal flusso vitale e la prossimità al soggetto assorbono gran parte delle immagini per questioni peculiari, la McCartney riesce ad evidenziare aspetti grotteschi, magici e meravigliosi proprio mediante il contatto con il mondo infantile.
La maschera di E.T. indossata da uno dei figli in uno scatto realizzato nel Sussex in pieno 1980, il velo fucsia che scende dal volto della piccola Stella, James McCartney a soli tre anni che emerge da una composizione floreale, quasi fosse il personaggio di una fiaba, ancora Stella sorpresa con una mela in bocca, in un’immagine tenerissima e allo stesso tempo fortemente surreale, tutti gli scatti che coinvolgono Mary negli anni ottanta, che fermano in modo sorprendente la malinconia che si verifica nel transito dall’infanzia all’età adulta. E ancora le maschere, i giochi condivisi, ma soprattutto i sorprendenti autoritratti “a pezzi”, dove Linda si fotografa un braccio, una gamba, un piede, scegliendo tagli sghembi, asimmetrici, che pur condividendo il calore del setting casalingo, evocano una percezione identitaria complessa e stratificata, come avveniva nelle s-composizioni di David Hockney fotografo.
In una conversazione che si svolge eminentemente nello spazio privato, entrano anche gli scatti ad alcuni artisti che hanno frequentato i McCartney, qui investiti della stessa luce. Le tre foto con un giovanissimo Adam Ant, gli scatti con Ringo Starr.
Emergono, come derive apparenti, i grattages, le foto ricolorate, i piccoli viaggi racchiusi in un arabesco di luci e colori, le forme della campagna tra famigliarità e segno irriconoscibile, quasi a rivelare la consistenza pittorica del lavoro di Linda, impressionista intuitiva.
Questa qualità è ben descritta dal ricordo di Chrissie Hynde che introduce il libro, raccontando l’ultimo ritratto di Linda fatto insieme alla musicista di Akron e recapitatole poco dopo la morte della McCartney. In quel contesto Linda utilizza il formato Polaroid; la cui essenza è quella di un demo tape, scrive la Hynde, perché “cattura le vibrazioni in modo più accurato rispetto ad una registrazione professionale“.
La raccolta di Polaroids scattate da Linda McCartney tra gli anni settanta e gli anni ottanta, oltre alla fascinazione estetica per un’immagine che sfugge costantemente verso i suoi stessi margini, quelli che inquadrano la continuità della vita, dischiude in modo fortissimo, proprio in virtù della sua intimità, quel punctum che rileva il nostro personale dialogo con le tracce della memoria. Più di qualsiasi altro “recupero” nostalgico, la consapevolezza di Linda nel cogliere l’impermanenza delle cose ci racconta cosa abbiamo irrimediabilmente perso nella nostra relazione quotidiana con la forza del gesto e dell’istante.
Il volume Taschen, introdotto da un bel saggio di Ekow Eshun pubblicato in lingua inglese, francese e tedesca, è acquistabile dal sito ufficiale di Logos Edizioni, che ne cura la distribuzione italiana, per 34 Euro (scontate, rispetto al prezzo di copertina di 40 Euro).
Sul sito Logos è disponibile anche il precedente volume pubblicato da Taschen e dedicato alla fotografia di Linda McCartney.
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