Quando nel 2008 Vasco Brondi ha pubblicato Canzoni da spiaggia deturpata in molti si sono chiesti cosa sarebbe venuto poi. Un disco dirompente, come in Italia non se ne sentivano da anni, forse decenni. Un incontro strano. Tra la chitarra di Giorgio Canali e la penna di Vasco Brondi, giovane cantautore emiliano. Eroina, ragazzi che si impiccano in garage, carta stagnola, polsi ricuciti, gli incubi dei pesci rossi. Canzoni da spiaggia deturpata sembrava una piccola perla grezza, che sarebbe rimasta lì, irripetuta, a raccontare una generazione a passeggio nel buio. Violento, delicatissimo, estremamente coinvolgente.
Era evidente che Vasco Brondi fosse il più talentuoso cantautore della sua generazione, ma sembrava che si fosse aggrovigliato in suggestioni estreme, e non era ben chiaro che sviluppi avrebbe potuto avere la sua carriera. Due anni dopo è arrivato Per ora noi la chiameremo felicità. Un album altrettanto oscuro, ma non meno bello. Vasco Brondi era riuscito a scrivere la seconda parte del primo album. Delineando in maniera più chiara un discorso che si sposta dal singolo all’intera società.
Costellazioni è un grande lavoro. Vasco Brondi ha portato a un livello superiore la sua scrittura. L’immagine che viene fuori da queste tracce è molto più luminosa di quella delle fatiche precedenti. E’ come se Vasco Brondi chiudesse una trilogia gettandosi a occhi chiusi verso un futuro di speranza. Il nichilismo che lo ha spinto a scrivere le prime canzoni si risolve in una ricerca, quasi istintiva, di un’esistenza diversa.
A chi ha ascoltato con attenzione Le luci della centrale elettrica fin dal primo album e dai primi concerti non sarà certamente sfuggito un passaggio di Le ragazze stanno bene in cui il cantautore emiliano offre la chiave di lettura di questo nuovo album con una chiarezza che una recensione potrebbe difficilmente eguagliare. “Forse si tratta di fabbricare quello che verrà / con materiali fragili e preziosi / senza sapere come si fa / Ma poi Sara stava pensando ad altri volti di ragazzini morti a Caserta / ancora all’interpretazione dei sogni / ai rumori di fondo / e alla magia che tutto sia senza senso / E adesso dal loro osservatorio astronomico su una scala antincendio / Chiara le ha detto che è pulita / che ha smesso/ che non c’è alternativa al futuro”. Tra l’altro questo è il primo brano che Vasco Brondi scrive in terza persona, senza rivolgersi al suo tipico “tu”.
In Punk sentimentale Vasco Brondi offre un saggio delle sue doti cantautoriali. Su una fumosa musica di sottofondo elenca le contraddizioni dei nostri tempi. “Strana questa cosa che respiriamo e poi smettiamo di respirare”. Sono strane le stragi in Medioriente, è strana l’intimità nell’età della tecnica, sono strane tre generazioni impreparate alla povertà, è strano il rapido declino dei calciatori, è strano l’altrettanto rapido declino dell’Occidente. Poi sono strane le cose tue ancora a casa mia. “Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano 2”. Riprendendo la famosa canzone di Ornella Vanoni disegna con pochissime parole un contrasto tra Milano e Segrate. Che poi è il contrasto forte, duro, tra la spensieratezza di chi un tempo si innamorava per le strade di Milano, e chi oggi vive nelle periferie, urbane e sociali, trascinandosi dietro, come una zavorra, tutte le contraddizione elencate all’inizio della canzone.
Nella musica, come nella letteratura, come nell’arte in generale, ci sono due grandi categorie di persone. Quelli che vogliono raccontare qualcosa, e quelli che non hanno altra alternativa se non farlo. Vasco Brondi appartiene alla seconda categoria. Ed è in compagnia di pochi altri colleghi, di cui è forse meglio non fare i nomi per evitare paragoni ingombranti. Con Costellazioni abbandona il solco estremo che gli aveva aperto le porte del mondo discografico. Gli ultimi due minuti di Piromani sembrano un ricordo lontano. Dopotutto “forse si trattava di dimenticare tutto come in un dopo guerra”. Vasco Brondi ha introdotto nella musica italiana un modo di scrittura che è solo suo. Ora ha anche individuato il genere di canzone che può permettergli di raggiungere i più alti livelli espressivi. Macbeth nella nebbia è forse la canzone più bella che abbia mai scritto.