domenica, Novembre 17, 2024

Lee Ranaldo: la libertà del songwriting, l’intervista

Per una volta lo si può dire senza timore di esagerare o di essere di parte: Lee Ranaldo è una leggenda della musica, grazie alla sua militanza nei Sonic Youth e alla sua ostiata propensione alla sperimentazione, nata ai tempi dell’esperienza con l’ensamble di Glenn Branca e poi portata avanti fuori e dentro il gruppo di cui rappresentava la terza pietra fondante assieme a Kim Gordon e a Thurston Moore. Recentemente ha ri-scoperto una vena cantautorale inaspettata e fertile, che l’ha portato a far uscire lo scorso anno un disco di ottimo valore, Between The Times & The Tides, e a proporlo in giro per l’Italia poche settimane fa assieme al compagno di mille avventure Steve Shelley, ad Alan Licht e a Tim Luntzel.

Nel tuo ultimo disco, Between The Times and The Tides, che presenti questa sera, i brani sono legati alla forma canzone, mentre le tue precedenti uscite soliste erano molto più sperimentali, nell’ambito del free-jazz, del minimalismo e non solo. Da dove arriva questa voglia di tornare a scrivere canzoni, al di fuori dell’esperienza Sonic Youth?

Ho fatto canzoni per molti anni con i Sonic Youth e stavamo per entrare in un periodo in cui non avremmo lavorato molto assieme, in cui ognuno avrebbe avuto il tempo e la possibilità di lavorare al proprio progetto, questo già molto prima di ciò che sarebbe accaduto tra Kim e Thurston. Ho sentito il desiderio di lavorare sul songwriting tradizionale, perché per svariati motivi. In particolare nel maggio del 2010 alcuni amici mi invitarono in Francia a suonare per un concerto acustico solista. Accettai, pensando all’inizio che avrei suonato con la chitarra acustica qualche canzone dal repertorio dei Sonic Youth , tra quelle da me composte. Durante le prove per quel concerto mi è capitato di scrivere un pezzo nuovo, quella contenuta in “Between the times & the tides” e che si intitola  Lost. Nel giro di due settimane avevo già deciso di lavorare a questo nuovo progetto, per me era come se la magia di scrivere canzoni si fosse mostrata nuovamente, una magia che di norma appare e scompare. Mi sono quindi ritrovato spesso con la chitarra acustica in fase di scrittura e quindi a comporre nuovi pezzi. Per l’autunno avevo abbastanza brani da poter affrontare le registrazioni,  con l’idea iniziale che le avrei realizzate solo in versione acustica.

E invece cosa avvenne?

Quando ho iniziato a registrare in studio ho chiesto a Steve Shelley di suonare qualche parte di batteria e da lì tutto è cresciuto im modo esponenziale. A un certo punto stavo facendo un’intervista con dei giornalisti Canadesi, non ricordo esattamente riguardo a cosa, mi scattarono una foto, mi piacque molto e decisi che doveva essere l’artwork dell’album, che dovevo quindi farlo perchè oltre ai brani avevo anche la copertina!  Tutto è successo in modo molto naturale. Sono in in una fase creative dove sono molto interessato al songwriting, che nei Sonic Youth era un processo molto democratico, si scriveva tutti assieme, così che le canzoni fossero di tutti e di nessuno in particolare. Ora mi piace scrivere canzoni dove controllo e responsabilità siano interamente miei.

Nel tuo lavoro suona anche John Medeski. La sua esperienza musicale l’ha portato anche a flirtare con il funk, oltre che con il jazz. Qual è stato il suo contributo per il disco? Quale delle sue anime ha utilizzato?

Penso emerga il suo ruolo di grande performer  d’organo. Holavorato a molti progetti con John, ho prodotto un album di registrazioni di Jack Kerouac circa quindici anni fa su cui suonò anche lui, inoltre ho fatto alcune cose per I’m Not There, il film su Bob Dylan, e anche in quel caso collaborai con John. Quando questo album ha iniziato ad assumere una forma diversa dall’embrione acustico,  dopo aver ingaggiato un bassista, ho pensato che mi sarebbe piaciuto avere John durante le registrazioni, così gli ho chiesto di suonare con noi. Posso dirti che abbiamo appena finito un nuovo album e che John ha suonato anche sul nuovo. L’abbiamo finito due settimane fa ed uscirà il prossimo ottobre probabilmente.

E come sarà questo disco? Simile al precedente o con delle differenze?

Sarà una specie di estensione del discorso. Ora la band ha suonato assieme per un po’, abbiamo un nuovo bassista e abbiamo raggiunto buoni livelli di intesa. Quindi direi che c’è più la sensazione che sia il disco di una band, nel precedente erano brani scritti da me, e i musicisti venivano a registrare la loro parte per un giorno o due. Questa volta abbiamo lavorato in modo più coeso e come una band, che è una gran bella cosa e una bella sensazione.

Una delle mie canzone preferite “Between the Times &  tides” è l’opening track,  Waiting On A Dream. In quella canzone e anche in altre il suono e la struttura mi hanno fatto venire in mente The Byrds e i R.E.M. Cosa ne pensi?

Non saprei. Di certo amo quelle band, ma non ho pensato in particolare a loro quando ho scritto quel brano

Qualche settimana fa dopo un concerto dei Dinosaur Jr mi interrogavo con un amico sulla mancanza di “guitar heroes” nelle nuove rock band di questi ultimi anni. Tu come te lo spieghi? Pensi che ci sarà un ritorno alle chitarre elettriche come strumento principe della musica rock?

Secondo me le chitarre sono ancora lo strumento principale del rock indipendente., così come i synth lo sono per la musica dance e cose simili. Guarda per esempio Carrie Brownstein o le ragazze dei Talk Normal, ci sono ancora molti esempi. Comunque quello del guitar hero è un problema secondario, ciò che conta è cil risultato sonoro raggiunto dalle band in senso complessivo.

Ti senti più un guitar hero o un guitarrorist?

Mi sento un chitarrista semplicemente. So che a volte facciamo cose o assumiamo posture da guitar heroes quando suoniamo, ma è legato alla parte teatrale, che è ben presente nel rock’n’roll e che è una cosa buona. Mi sento un chitarrista sperimentale più che altro, e mi sento tale anche quando suono canzoni folk.

 

Sempre parlando di Dinosaur Jr, hai registrato con J Mascis una cover di Albatross dei Fleetwood Mac. Ti piacevano?

Sì, diversi periodi della loro carriera mi piacciono molto. Mi piace il periodo con Peter Green e anche quello con Stevie Nicks e Lindsey Buckingham, Rumours e i primi dischi, sono dei classici.

E perché hai scelto quella canzone, uno strumentale?

Sembrava un brano interessante su cui lavorare. Non credo che molta gente conosca bene quel periodo dei Fleetwood Mac, in più quella è veramente una bellissima canzone e sembrava molto adatta alla mia band.

La tua carriera e la tua musica sono sempre state legate a New York City, fin dai tempi della tua collaborazione con Glenn Branca. Senti ancora un forte legame con la città?

Sì, vivo ancora a New York e prendo ancora molta ispirazione dall’ambiente. Ci vivo ormai da molto tempo e mi piace tantissimo viverci.

E pensi che ci sia ancora una buona scena musicale in città?

Sì, c’è sempre. Ha alti e bassi per quanto riguarda il pubblico e la popolarità. L’ultimo picco probabilmente è stato nei primi anni dello scorso decennio con gli Yeah Yeah Yeahs, i TV On The Radio e gli altri gruppi di quell’ondata. Comunque ci sono sempre cose interessanti in giro, a volte diventano più famose, altre meno, ma la qualità rimane alta.

Quando iniziasti con i Sonic Youth avevate connessioni con quanto stava accadendo anche fuori da NYC, per esempio con l’hardcore o il paisley underground?

Sapevamo della loro esistenza, ma finché non iniziammo a fare tour qualche anno dopo non conoscevamo nessuno personalmente, a meno che non andassimo ai loro concerti a New York a presentarci. Non c’era internet allora ed era veramente difficile trovare informazioni su quello che stava succedendo.

Per esempio ho letto che i Black Flag e i Minor Threat ebbero una grande influenza su di voi…

È assolutamente vero. Erano eccezionali! I primi concerti dei Minor Threat, dei Black Flag, dei Minutemen, dei Meat Puppets furono tutti molto influenti su di noi. Inoltre potevi vedere che altre band riuscivano a salire su un furgone e girare per tutto il paese suonando la loro musica, il che ci fece capire che potevamo farlo anche noi. Fummo una delle prime band della nostra scena a prendere e fare tour in quel modo. Fummo anche i primi a venire in Europa, un paio di anni prima delle altre, perché ci era bastato immaginare di farlo.

Qual è la migliore traccia di chitarra che hai registrato e che preferisci?

È molto difficile dirlo. Sono innamorato di un brano dell’ultimo disco, Hammer Blows, che è un brano di chitarra acustica. Poi mi piace molto la cover di Bubblegum di Kim Fowley che ho fatto con i Sonic Youth. Comunque è difficile dirlo, anche perché non mi sono mai posto il problema, ogni brano fa parte della mia esperienza come musicista e lo vedo come tale, un tassello del tutto.

Le tue attività artistiche al di fuori della musica sono tante. Qual è il collegamento tra la tua musica e la tua arte? Vengono dalle stesse fonti? O soddisfano bisogni diversi?

Il fatto è che ho sempre fatto molte cose in contemporanea, ho sempre avuto esperienze di visual art, ho sempre scritto e ho sempre fatto musica. Le varie discipline si influenzano vicendevolmente, ma non mi è chiaro come questo accada. Per esempio può accadere che le parole scritte diventino canzoni o che anche un disegno sia di ispirazione per un pezzo. Uno dei miei ultimi progetti è una serie di disegni ispirati alla vita durante un tour. Mi siedo sul furgone e disegno l’autostrada mentre ci muoviamo. Quindi ogni attività si relaziona alle altre in qualche modo, per esempio faccio anche i disegni per i vari dischi.

 

Hai appena citato i Lost Highway Drawings. Da dove è arrivata l’idea per questa serie di disegni?

Da molto lontano, ho iniziato a metà degli anni settanta, quando ero uno studente d’arte, durante un viaggio con un amico. Dovevo fare dei lavori per la scuola e mentre stavamo guidando verso la Florida ho iniziato a fare qualche schizzo su ciò che vedevo dal finestrino, che è qualcosa che cambia ma che al tempo stesso è sempre uguale. Pochi anni fa ho ricominciato a farlo e negli ultimi due anni ne ho fatti una serie, sono quasi duecento ormai. Ho appena fatto una mostra di una quindicina di questi disegni in Portogallo.

 Che progetti hai per il futuro?

Come ti ho detto, sta per uscire un nuovo disco, quindi buona parte del mio futuro prossimo sarà legato ad esso e al tour che faremo per promuoverlo. Passeremo dall’Europa di nuovo in autunno, a novembre. Poi ho scritto un pezzo per orchestra d’archi di sedici elementi, che ha debuttato pochi giorni fa ad Amsterdam e che ho intenzione di sviluppare ulteriormente. Inoltre continuo a fare concerti con mia moglie Leah Singer. Sto lavorando molto anche sulla scrittura, sto mettendo mano a una raccolta di racconti ed articoli degli ultimi 25 anni, che dovrebbe uscire a breve. La cosa che mi interessa di più però è scrivere canzoni, ho imparato molto dal primo disco ed ho imparato ancor di più da questo secondo, quindi voglio continuare su questa strada, magari con un terzo disco.

Lee Ranaldo, la foto galleria di Francesca Pontiggia

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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