Gary Clark Jr. è sfacciato quando suona la sua Gibson SG, improvvisare permette alla sua abilità di emergere e brillare. Eric Clapton una volta gli scrisse che guardarlo in concerto era un motivo più che sufficiente per sentire la voglia di riprendere in mano la propria chitarra. Iersera con il sole che ancora illuminava la piazza questo ragazzo di Austin, con un cappello a falda larga che gli nascondeva quasi del tutto il viso, ha iniziato con Catfish Blues, la classica melodia resa popolare da Muddy Waters e Jimi Hendrix, per poi sciogliere i cuori con Our Love. La sua voce non è il lamento di un vecchio Bluesmen appesantito dai travagli della vita, ma liscia e connotata da un formidabile falsetto. Come già accaduto nel 2015, sempre a Lucca, Gary Clark Jr. ha stupito, lasciando senza parole la folla in trepidazione per Lenny Kravitz.
E con il buio sulle note di A Love Supreme di John Coltrane fa il suo ingresso lui, su un’alta piattaforma nel retro del palcoscenico come un dio del rock che sa come bearsi della sua fama di rockstar. Giubbotto di pelle, pantaloni scampanati, occhiali rigorosamente a specchio, sembra uscito dalla locandina di Paura e delirio a Las Vegas. Questo eterno ragazzino cresciuto a New York negli anni Sessanta e influenzato dai riff rock dei Doors e dei Led Zeppelin, è rimasto fedele a sé stesso, senza paura di apparire tremendamente retrò. La sua è una miscela unica che trascende i confini delle tendenze musicali, una commistione poderosa di suoni psichedelici, funk, soul e rock. Fly Away termina su un forte e sconcertante riff di chitarra, Lenny Kravitz non ha intenzione di perdersi, di fermarsi, esegue canzone dopo canzone con grande energia per concludere il suo primo atto con American Woman, quando un trio di ottoni emerge, come risucchiato dalla corrente per allungare il brano e inserire sonorità reggae, regalando agli spettatori frammenti di Get Up, Stand Up di Bob Marley. È il momento di riprendere fiato. Sfila gli occhiali per un attimo, il tempo di guardare il suo pubblico e introdurre due brani del nuovo album, Raise Vibration.
L’ex bassista di David Bowie, Gail Ann Dorsey, si scatena su Always on the Run, accanto al chitarrista Craig Ross che con i suoi assoli esplosivi infiamma la folla. Quando Kravitz li presenta la piazza scoppia in una meritata ovazione.
La messa in scena è straordinariamente semplice, ma l’atmosfera è elettrica.
Let Love Rule dura 15 minuti e mezzo, simbolo supremo di quell’energia frenetica che circonda ogni corpo. Lenny scende tra il pubblico, attraversa l’intero pit, sorprendendo la platea eccitata, le mani lo cingono in un abbraccio collettivo, poco possono fare i due uomini della security, è una follia cercare di contenere l’entusiasmo. Arriva fino al mix da dove saluta Gary Clark Jr., in tribuna a godersi lo spettacolo.
Se la sera prima Piazza Napoleone è stata stregata dalla cupa teatralità di Nick Cave, con Lenny Kravitz l’anima si alleggerisce e l’unico dovere resta muovere il culo e ondeggiare i fianchi.