lunedì, Dicembre 23, 2024

Lightning Bolt ovvero i Pearl Jam sopra ogni cosa

And I’m not gonna question it any other way
There must be an open door
For you to come back

Lightning Bolt è un disco mellifluo, non brutto, non eccellente, ma derivato in gran parte dalla forza di inerzia generata dai Pearl Jam. Intendiamoci, rispetto a Backspacer, Lightning Bolt ha più mordente e è dotato di un profilo più sfaccettato. Tuttavia, e suona oltremodo banale dirlo, non siamo davanti ad un capolavoro, né ad un disco innovativo, tanto meno alla svolta dei Pearl Jam. Nonostante ciò, e pongo questa domanda con il più alto grado di purezza di cui sono capace, who cares? I Pearl Jam hanno fatto la storia. Mi interrogo da diverso tempo sul significato di questa locuzione e onestamente fatico a trovare una risposta che mi convinca. Hanno fatto la storia perché hanno partecipato di quel movimento vero o immaginario che sia che definiamo con la parola grunge? Hanno fatto la storia per vent’anni e passa di carriera integerrima e allo stesso tempo impegnata e schierata? Hanno fatto la storia per aver fatto derivare dal limitato numero di lettere dell’alfabeto alcuni fra i testi più penetranti della musica? Per quanto mi riguarda, questo ed altro, ma riconosco di passare senza soluzione di continuità dal fan integralista a quello scettico a quello deluso, ammantata come sono da quell’affetto e dedizione che hanno doppiato il giro del lustro.

Atteso da oltre quattro anni, Lightning Bolt arriva dopo una lunghissima via crucis pubblicitaria in cui si sono alternate arguzie di marketing mai dispiegate prima d’ora; lo snocciolamento dei singoli dell’album, i relativi video, il countdown che ha accompagnato il lancio e un percorso di immagini create ad hoc per la situazione. L’album è finemente prodotto e registrato, ma aggiungerei anche un “ci mancherebbe altro”, non è di certo una penuria di professionalità quella che ci si attende dai Pearl Jam. Quello che manca è la tendenza all’estremo, l’aggressività fragorosa da un lato e la struggente malinconia dall’altro. Gran parte delle tracce di Lightning Bolt sono la morgana di pezzi addietro, dall’opaco richiamo a World Wide Suicide (Lightining Bolt), allo strascico dell’esperienza solista di Into The Wild (Swallowed Whole). Eppure sbirciando dalla serratura di Mind Your Manners e Sirens, qualcosa di ammaliante si era intravisto, nonostante i due pezzi scelti come singoli non rispecchiassero appieno lo stile dei Pearl Jam. Entro gli estremi posti dai due singoli, i Pearl Jam hanno oscillato con moderazione, alternando all’attacco energetico di Getaway, l’impalpabile leggerezza di Pendulum e il refrain mai troppo esplorato del rapporto padre-figlio in Father’s soon. Come detto senza troppi giri di parole all’inizio, non si tratta del disco dell’innamoramento di Vedder e soci, con buona pace di coloro che questa fase l’hanno già vissuta e la reclamano con una certa gelosia. Lightning Bolt resta in ogni caso un buon disco, basato in primo luogo sulla coerenza e sulla capacità di rimanere saldi e stabili nella parabola Pearl Jam. Un disco dalla ricezione complicata perché il più delle volte è l’aspettativa a sciupare la vera bellezze delle cose.

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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