Batteria elettronica? No grazie. Matthew Herbert la odia e insieme a questa i synths, qualsiasi forma di pre-set e di artificio. Nel suo Personal Contract for the composition of music, manifesto redatto nel 2005, il musicista britannico elenca le strategie attraverso le quali la sua musica si sviluppa. Tutto ciò che pre-esiste viene bandito e la stessa metodologia del campionamento deve stabilire una relazione strettissima con i suoni e le composizioni create dall’artista stesso.
Reinvenzione del proprio archivio da una parte e dall’altra creazione di strani mondi poliritmici, la cui origine risiede nell’incontro tra il musicista con la vita di tutti i giorni. Herbert è in questo senso uno dei primi fautori di un’elettronica legata alla fenomenologia organica, insieme ad artisti come Matmos.
Il suo sistema compositivo cresce e si auto-genera attraverso il suono di oggetti per uso quotidiano e quello delle funzioni corporee: il flusso sanguigno, il battito del cuore, un bimbo nella pancia della madre.
Bodily Functions (2001), il suo album sicuramente più famoso, rimane tutt’ora il genoma attraverso il quale si è sviluppata una poetica quasi documentaria del suono, non inganni in questo senso il risultato, collocato per ragioni di comodo tra il pop e il Trip-hop, il Jazz e il soul.
Agli antipodi, ma attraversato dallo stesso spirito, un lavoro come “One pig” (2011) dove il ciclo vitale di un maiale viene seguito nei minimi dettagli, dalla nascita fino al destino sul piatto di una qualsiasi mensa. I suoni in questo caso si avvicinano ai processi di lavorazione e trasformazione in un bilanciamento impossibile tra documento e trasfigurazione.
Non c’è un rifiuto netto del divertimento nella musica di Herbert, tutt’altro, ma rispetto all’elettronica di consumo (quella che piace ai nipotini illegittimi di Pitchfork) la sua musica esce dal recinto di sicurezza di una certa “coolness” per ricercare una terra di mezzo nient’affatto confortevole, esattamente come i processi empirici che ci portano ad acquisire i suoni più disparati dall’esperienza quotidiana.
Chi conosce da vicino il senso profondo del cinema politico, sa bene quanto questo abbia maggiormente a che fare con il punto di vista, con lo sguardo e con il modo in cui si raccontano le cose, invece che con i contenuti.
Herbert – Strong (Official Video)
Herbert, per il modo in cui manipola con rigore enormi database sonori, non è così distante dal Jean Luc Godard di Histoire(s) du cinéma. A conferma di questo il progetto chiamato Brexit Big Band, la cui fase iniziale è stata inaugurata dalla versione beta del sito www.brexitsoundswap.eu, dove è possibile contribuire donando un suono di tre secondi. Una volta sottoscritto il contenuto, si riceve in automatico tutti quelli caricati dagli utenti che hanno partecipato fino a quel momento: “Non sarei il musicista e la persona che sono – ha detto Herbert per presentare il progetto – se non ci fossero stati i numerosi collaboratori e le interazioni che ho stabilito con persone dal background e dalle nazionalità più disparate. Ho imparato molto da tutto questo. Il messaggio che abbiamo recepito dalla campagna Brexit era quello isolazionista di una nazione che può fare meglio da sola. Rifiuto interamente questa idea e voglio creare un progetto che incorpori principi collaborativi dall’inizio alla fine”
La versione definitiva del sito è stata lanciata il 29 marzo scorso, quando il nuovo primo ministro è ricorso all’articolo 50, avviando il processo formale per lasciare l’Unione Europea, mentre il progetto di Herbert sarà progressivamente orientato a costruire la fisiologia di un album, mattone sonoro dopo mattone. Livello dopo livello, aggiungerà nuovi musicisti, cantanti, cori, solisti e una big band costituita da artisti raccolti in tutta Europa fino a raggiungere il numero di 1.000 performers all’unisono. Sono previsti testi cantati in tutte le lingue e contenuti fissati da un gruppo di autori. “In un clima politico costantemente diviso dove la creatività e la tolleranza sono sotto minaccia, è importante confermare il desiderio della comunità musicale britannica nel trovare un territorio comune con i nostri amici e vicini prossimi, che presto non saranno più accessibili”
È un approccio politico, certamente, ma anche sensoriale. Il suono per Herbert ha un valore superiore a quello dell’immagine e proprio per questo motivo, lo utilizza anche per stimolare la nascita di una visione: “Se riproduco il suono del mare – ha detto in più di un’occasione – possiamo immaginarci due, tre, quattro immagini diverse, tante quanti sono i destinatari”
Chi è allora Matthew Herbert e cos’è la sua musica, oltre le notevoli produzioni che ha collezionato per artisti come REM, Quincy Jones, John Cale, Yoko Ono, Roisin Murphy, solo per citarne alcuni.
Un abile alchimista capace di tramutare suoni non convenzionali in oggetti combinatori dal forte impatto “pop”? Un documentarista che sostituisce la videodocumentazione “en directe” con la registrazione sonora ? Uno scenziato che costruisce architetture sonore votate ad un empirismo estremo?
Probabilmente tutte queste cose, unite ad una grande capacità di piegare l’arte del songwriting alla ricerca sonora. Un suo Set non ha la dimensione statica di quelli che si muovono entro i confini combinatori dedicati all’arte del Djing per come si è diffusa, sono al contrario esperienze vivissime e ricche di sorprese dove Herbert porta con se un archivio sonoro-documentale amplissimo e allo stesso tempo cattura e si mangia, letteralmente, il mondo e l’ambiente che in quel momento circonda le sue performance, trasformandoli in suono, frammento e poi musica.
Venerdi 5 Maggio 2017 presso La Stazione Leopolda di Firenze, Lattex Extreme in collaborazione con il Festival Fabbrica Europa, presenta Matthew Herbert in uno dei suoi imperdibili Dj-Set.
Biglietti, 13€ disponibili presso la pagina di Resident Advisors dedicata all’evento
In cassa, presso Stazione Leopolda – Firenze: 17€
- Matthew Herbert djset (UK)
- Ponz (Lattex+ // IT)