Ai tempi, si decise che dovesse essere Emidio Clementi, Mimì, la voce del gruppo. Il problema era che Mimì non sapeva cantare, lui con velleità da scrittore e predilezioni da bassista. Ma nessuno degli altri si sentiva in grado di farlo, quindi tocca a Mimì che accetta e decide di cantare a suo modo, fondendosi con le corde del basso che imbraccia; declama, recita, interpreta. Lo farà a partire dalla fine degli anni ottanta fino ad oggi e ad ogni attacco, ad ogni concerto, un respiro precede tutto; Emidio sonda l’aria, prepara il diaframma, controlla le parole e inizia il sogno dei Massimo Volume.
Giunti oggi al sesto album in studio, i Massimo Volume non vengono meno alla componente poetica e letteraria che li contraddistingue. Aspettando i barbari è un’odissea contemporanea, un viaggio in cui si rischia più volte il naufragio e dove il pericolo di perdere lo zenit suona più come profezia che come possibilità. Sono uomini che hanno perso la bussola quelli che animano le battute di Aspettando i barbari, alcuni compromessi per sempre, altri in grado di redimersi. Uomini lontani dal nucleo caldo della famiglia, uomini peregrini, vagabondi in cerca di qualcosa o semplicemente in cerca di un nuovo viaggio.
Chi mosso da volontà propria, chi costretto dagli eventi, tutti gli occhi e i volti descritti in Aspettando i barbari si rivelano nemici gli uni per gli altri, destinati ad un continuo scontro perché l’alterità è il vero nemico da cui guardarsi. Ed è questo che sono i barbari, tutto ciò che è diverso per il semplice fatto che si scontra e mai s’incontra con noi. Non a caso il disco si apre con le parole del poeta sociologo Danilo Dolci e in Dio delle zecche si descrivono tutte quelle azioni patrocinate da un dio che, se esiste, regge un’umanità svilita i cui esemplari si appiattiscono a vivere come zecche.
Alla freddezza sociale corrisponde quella del disco; i suoni si fanno più elettrici, il synth percorre la dorsale della tracklist creando atmosfere più cupe e chiuse, le chitarre fanno sanguinare l’aria. Un senso di isolamento dove rumoreggiano i suoni di trincea di Campound, l’arte meccanica della guerra attraverso le parole di Mao Tse Tung ne Il nemico avanza, la vittoria assoluta nell’inazione che si consuma nell’attesa de La Cena. Mai come in Aspettando i barbari, il post-rock dei Massimo Volume si esprime in tutti i suoi decibel, fra l’inquietudine cantata in Vic Chesnutt e i racconti sull’Utopia di Richard Buckminster Fuller in Dymaxion Song.
L’approdo del viaggio è un capitolo da scrivere. Forse è destinato a continuare nelle parole di J.M. Coetzee e a raccogliere la sfida lanciata nelle pagine dell’omonimo romanzo (Aspettando i barbari). Come lì, deve accadere un evento talmente scioccante da provocare il risveglio degli animi e indurre ad uno slancio attivo, ad una concreta reazione. O forse, dopo tante fatiche, ci si augura di trovarsi cinti dall’abbraccio descritto dal quadro di Ryan Mendoza scelto per l’immagine dell’artwork.
Qualunque sia l’epilogo, Aspettando i Barbari è capace di sintetizzare in versi e in tratti espressionistici gli umori, le ansie e le nevrosi della società. Un disco-romanzo elegante, martellato a colpi di noise, spigoloso. Anticipando i mesi che restano, uno dei migliori album italiani del 2013.