Matteo Cincopan studia chitarra classica a Bologna. Milita per cinque anni in una band, i Poets, che fa musica pop anni ’60. Poi inizia a comporre colonne sonore, per il cinema e per spettacoli teatrali. Nel 2009 fonda una nuova band, i Guidos, con cui incide due album e un EP. Due anni dopo debutta come solista.
Nelle vesti del cantautore si trova incredibilmente a suo agio, e interpreta questa strana professione in modo assolutamente originale. In tre anni pubblica tre album, creando una trilogia. A differenza dei suoi colleghi non esordisce scrivendo d’amore, ma di fantascienza, una delle sue grandi passioni. Giusto per darvi un’idea, se metteste su il suo primo album, I primi tre secondi dell’universo, vi trovereste ad ascoltare Il santuario dell’androide d’argento – Prima parte, due minuti e mezzo strumentali di pura psichedelia intergalattica. E tre pezzi dopo incontrereste Il santuario dell’androide d’argento – Seconda parte, un racconto visionario fuori e dentro lo specchio di ghiaccio, al centro delle colonne parlanti, con il corpo bloccato all’ingresso. Il titolo del secondo album, Fantascienza, è una chiara dichiarazione d’intenti.
Passati futuri completa la trilogia ma è diverso dai due lavori precedenti. Se nei primi due album Matteo aveva fatto sfoggio delle sue innegabili capacità di compositore e musicista progressive rock, in quest’ultimo disco l’ambizione è decisamente più pop. Dal punto di vista narrativo Matteo si smarca dalla fantascienza e scrive un concept album sul tempo. Si, il tempo. Quello che scorre nelle lancette dell’orologio. Parte quasi sempre dalla descrizione di uno scenario esterno, filtrato attraverso la mente di un narratore visionario, per arrivare poi a formulare delle riflessioni sulle dinamiche evolutive della vita.
Il cratere del tempo è uno dei brani più riusciti dell’album. Una chitarra acustica anticipa la voce di Matteo. Un occhio che si apre, una bocca nuova che sorride, un viso nuovo su cui cambia la luce, le mani cercano un mondo in cui gli istanti vivono e brillano. Poi un testo complicato sul tempo e il movimento. Un ritornello aperto, forte e melodico costruito su una strofa difficilissima: “Io mi sto muovendo / sono un punto sulla linea del tempo / nel segreto di un incontro tra il cielo e il lampo / ancora sta succedendo / all’inizio ero un uomo soltanto / ma non esiste la prima volta nel cratere del tempo” .
I titoli degli album di Matteo Cincopan sono sempre, almeno fino a questo punto, la migliore sinossi possibile di quello che si va ad ascoltare. Era così per Fantascienza, ed è così per Passati futuri. Giocato tra ricordi lontani, cose svanite, traiettorie future che sfumano. Musicalmente è un incrocio interessantissimo tra l’universo progressive e il cantautorato italiano degli anni ’80. Spazio liquido è una piacevole eccezione. Un brano di sincera psichedelia anni ’70. Molto più vicino ai lavori precedenti che a questo. Una piacevole digressione interamente strumentale.
Matteo Cincopan ha tre importanti qualità. E’ un cantautore che in fase compositiva presta grande attenzione alla sperimentazione musicale. E’ un ottimo musicista, per giunta polistrumentista. Nei suoi testi non è mai banale. Passati futuri è tra i suoi album da solista quello a più lunga gittata. Musicalmente più accessibile dei precedenti. Meno radicale nei testi, che però non corrono mai il rischio di inciampare nel luogo comune. Resta la curiosità di chiedere a Matteo maggiori chiarimenti su quella famosa “estate a Praga / dove uomini sfondavano muri di carta”.