venerdì, Novembre 22, 2024

Meike Clarelli, voce e anima de “La Metralli” – l’intervista

Il mondo indipendente è un mondo tremendamente compromesso, molto modaiolo e legato all’onda” sono parole di Meike Clarelli che in una conversazione ricca e intensa come la sua musica ci ha parlato del progetto “La Metralli” formazione di origine modenese giunta nel 2013 al suo secondo album  intitolato Qualche Grammo di Gravità in più . Un progetto dalla definizione ardua: ponte fra moderno e antico, retrò senza un data precisa o, in una sola definizione che un caro amico di Meike si è inventato “Avantique“.

La Metralli nasce da un sincretismo musicale che non conosce barriere e che riesce ad unire al suo interno più anime e più personalità. Dall’uso della voce come suono al rumore musicato, dall’ambivalenza dei premi di settore nell’era della saturazione dei contest musicali fino alla medicina e la psicoanalisi come fonte di ispirazione, Meike ha risposto alle nostre domande raccontandoci uno fra i progetti cantautorali italiani più audaci e ricchi da custodire con attenzione.

Per cominciare, mi piacerebbe che tu descrivessi La Metralli come se la dovessi presentare per la prima volta

Per prima direi che definire La Metralli una band non è corretto, credo sia meglio dire che si tratta di un gruppo di persone che amano e credono fortemente nel progetto e lo condividono sia a livello di contenuto sia di proposta cantautoriale. C’è uno zoccolo molto duro di “metrallici” e c’è uno zoccolo meno duro, ma ugualmente indispensabile, di amici che sono legati progetto pur non prendendovi parte attivamente. Questo fa sì che nel live il pubblico ci veda in varie disposizioni e questo ci permette di rendere ogni live diverso; ci sono live in cui abbiamo due chitarre e un basso, altri in cui abbiamo un pianoforte, contrabbasso e chitarra, altri ancora in cui c’è un synth una chitarra e contrabbasso. Questo ci dà modo di lavorare molto sul nostro materiale.

Ti ho chiesto questo perché è molto difficile definirvi e trovare una casella dove collocarvi, limitante ma a volte necessaria per descrivere…

Sono d’accordo, è difficile anche per me. L’ho fondato insieme a Matteo Colombini! Abbiamo un materiale abbastanza eterogeneo, soprattutto nell’ultimo disco. Tuttavia c’è un’identità che rimane integra e si riversa nel modo di dire le cose e di farle suonare. La Metralli fa musica che non vuole arrendersi, perché cerca un linguaggio sperimentale che attraversa vari generi. Si tratta di un progetto che cerca di inciamparsi, di non rendere la canzonetta del tutto pop o del tutto rock o del tutto onirica. La definizione migliore credo sia quella di “Avantique”, un nome che ci ha regalato un carissimo amico venendoci in soccorso nel tentativo di definirci. Siamo un po’ avanguardisti e un po’ antichi, sospesi in qualcosa di non troppo definito. Ci piace giocare coi generici e ultimamente nei live tentiamo proprio di fare questo, di contaminare i vecchi brani rimasticando quello che si è fatto fino ad oggi e renderlo nuovo, evitando così che resti statico.

Dal punto di vista anagrafico, La Metralli ha tre anni di vita, ma so che tu e gli altri musicisti che ne prendono parte siete in attività da più tempo

Esatto abbiamo più o meno una quindicina anni di musica alle spalle, maturati in contesti diversi. Marcella esce dal conservatorio così come Matteo. Matteo ha un percorso classico, era uno dei compositori di Tárrega uno dei compositori romantici più struggenti della musica spagnola della metà dell’ottocento ed è inoltre un grande fan dei Radiohead. E questo è molto Metralli, la capacità di legare insieme più anime. Marcella ha fatto per qualche anno tournée con Biagio Antonacci, Davide ha una formazione molto jazz, Cesare ha suonato con Vinicio Capossela e io ho un percorso altrettanto particolare.

So che provieni dal teatro

Io ho iniziato col teatro poi il teatro ferisce con ferite profondissime come storie d’amore che non vanno bene e me ne sono allontanata. E lì ho iniziato a fare un percorso sulla ricerca vocale e sul canto.

Sia in Del mondo che vi Lascio sia in Qualche Grammo di Gravità,  risalta in particolare l’impostazione vocale e il modo teatrale del tuo canto. Come ha influito la formazione teatrale nella tua conduzione di un live?

Non so se mi abbia aiutato o meno, sicuramente mi ha avvicinato all’aspetto rumoristico della musica che io apprezzo molto. La Metralli fa molto rumore musicato durante i live. Il mio percorso di lavoro sulla voce è stato molto particolare; sono entrata in formazione da una psicofonista, da un’insegnante francese e da un’insegnante di canto funzionale tedesca, che hanno un approccio al canto molto legato alla libertà del corpo. Quindi c’è tanto corpo nella mia voce eppure a vedermi nei live, sono un disastro! Quando canto, ci sono tutta, ma quando finisce la canzone tutti mi rimproverano che faccio schifo! Che non dico nulla al pubblico, che mi giro dall’altra parte e bofonchio un grazie. In questo senso non mi ha aiutato per niente, sono veramente poco da palco e poco prestante (ride ndr). Quando invece lavoro con la voce, quando suono la voce, c’è tutto un da fare che sento ed è come se entrassi in un dispositivo particolare in cui pratico qualcosa che si avvicina alla libertà. Questo come insegnante di canto. Come cantate de la Metralli il discorso cambia, se potessi fare cose più turche con la voce ma non posso mettermi a cantare come una pazza, di fatto facciamo canzonette e sono quelle che dobbiamo fare.

Proseguendo nella storia de La Metralli, nel 2012 vincete il Premio Ciampi. Credo sia inutile indagare la gioia e la felicità derivate dal vincere un premio del genere. Tuttavia restiamo sul lato artistico: al di là dell’indubbio significato che ha avuto per voi, come gruppo, come credi che venga percepita dal pubblico? Credi che comporti una sorta di valore aggiunto nella presentazione o nella conoscenza di un musicista piuttosto che un altro?

In effetti è difficile rispondere. A volte premi del genere rischiano di essere un po’ rivolti agli addetti al lavori e di essere un po’ autoreferenziali. E io penso che sia così perché non ci sono zone intermedie dove possa aver senso in modo fattivo questo riconoscimento. Come dire che non ci sono vie di mezzo; abbiamo il mondo televisivo scandito dal contest che in qualche modo viene a coincidere con il concetto di riconoscimento e dall’altra parte premi come il Ciampi o il Tenco che ormai è diventato un evento per pochissimi invitati dove sono distribuiti riconoscimenti secondo criteri che hanno a che fare con le vendite o col successo già avvenuto.  Non c’è più niente che in questo senso aiuti il lancio commerciale o il lavoro volto a poter fare dei live e a lanciare i cosiddetti emergenti. Credo che le persone in questo momento siano molto disorientate nel capire in quale contenitore possano collocare e leggere una determinata proposta, forse in questo momento i contenitori sono tutti abbastanza strani.

La parte testuale è una componente fondamentale per La Metralli, dai testi trapela la tua cura e l’amore per la parola

C’è molta cura e ricerca nella parte testuale e non so se in questo caso sono stati i miei anni di psicoanalisi ad aiutarmi a trovare le giuste parole per dire le cose. Io non amo molto la scrittura, ma amo il mondo voce e le sue svariate declinazioni: amo tutto quello che rende voce qualche cosa. Il mio amore per la psicoanalisi e per la medicina mi hanno appassionato e aiutato a capire come dire le cose. Fare un percorso di psicoanalisi per me è stato diventare di nuovo bambina; ho dovuto imparare a descrivere quello che sentivo e a dire le cose in modo quanto più preciso possibile. E tanto più io diventavo precisa tanto il linguaggio diventava meno oggettivo è più evocativo. In fondo è sempre difficile dire veramente le cose.

Se penso al mondo cantautorale, ritengo che la vostra proposta sia veramente audace e spiazzante. Trovate delle difficoltà nella promozione della vostra musica? Vi scontrate con qualche “baronia”? Ho visto che suonate in chiese sconsacrate e in posti che esulano dal locale tipico per un live

Purtroppo è molto difficile promuovere e promuoverci. Ci diamo tanto da fare e lo facciamo in prima persona, adesso stiamo organizzando un piccolo tour a Berlino e Bruxelles, ma lo stiamo facendo noi. La difficoltà maggiore sta nel convincere il manager o un’agenzia di booking che quello che facciamo piace e piace tanto. Durante i live la gente si diverte! Noi suoniamo davvero con lo scopo di far vivere un momento di bellezza e di grazia al pubblico presente. E lo facciamo anche bene perché siamo persone preparate, ognuno di noi ha uno studio profondissimo e tecnico del proprio strumento. Quello che riscontriamo in coloro che programmano e dispongono le serate è che pretendono di sapere quello che piace e non piace alla gente. E questa cosa mi fa tremendamente incazzare! Io non credo che chi lavora di più, chi suona di più di conseguenza piaccia di più. E lo dimostrano i numerosi locali semivuoti a fronte di proposte e programmazioni già sentite e già viste. Il mondo indipendente è un mondo tremendamente compromesso, molto modaiolo e legato all’onda. E credo sia diventato così soprattutto negli ultimi anni. Da quanto ci siamo affacciati al pubblico con questo progetto ci siamo sentiti dire di tutto: siete troppo radical chic, non siete abbastanza radical chic, siete poco indipendenti, siete troppo indipendenti. Riconosco che senza un management è veramente dura, il mondo della musica live in Italia è veramente affaticato. Per fortuna, escluse le difficoltà dei live, noi siamo veramente soddisfatti di come stiamo lavorando e di questi primi anni metrallici.

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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