Che la premiata ditta Pizzo/Casarrubia non operi a caso, risultava chiaro già nei precedenti lavori. Ma ad un anno da N°7, ultimo album uscito, i Melampus acuiscono ulteriormente questa visione dando alle stampe Hexagon Garden. Celato da un artwork dai colori pastello che segna i contorni di alcune piume mollemente distese, Hexagon Garden rileva la propria scorza mistica e un mallo intricato e contorto. La lievità proprio non rientra nei connotati dei Melampus.
Li abbiamo visti uggiosi con Ode Road, umbratili nei passaggi foschi di N°7 e ora li troviamo assestati ad un crocicchio fra l’antico influsso dark/new wave e nuovi influssi che hanno dell’esotico. Dalla commistione inglese/francese di May Your Movement al battito ancestrale e indigeno di Poor Devil, pare che la stanga dei Melampus punti in direzioni differenti. Forse verso i territori dei popoli indiani Zuni o la vegetazione degli Irochesi i cui colori, rosso e verde petrolio, sono puntualmente richiamati nell’artwork.
O forse verso i ghiacci casa di Björk che tengono a battesimo il suono tantrico in Sun e ancora sulla scia dei Low nell’avvolgente incedere notturno di Night Laugh. Sempre più i Melampus sembrano rivolgersi ad un pubblico di selezionati estimatori in grado di cogliere le impercettibili sfumature e gli amorevoli dettagli insiti nel progetto.
E se la voce di Francesca continua ad essere un benevolo Caronte nel traghettare oscuro di Hexagon Garden, gli arrangiamenti raffinati e il tocco di Angelo Casarrubbia concorrono alla riuscita. Prendendo le giuste distanze dal rischio di essere tacciati di revivalismo, i Melampus continuano a plasmare e a plasmarsi, mettendo a fuoco la strada da percorrere.
