Non che Go Go Smear The Poison Ivy e Sing Along To Songs You Don’t Know fossero dei brutti lavori ma certo non sembrava restituissero la forma più autentica del progetto Múm, poggiati com’erano (e come sono) su un’idea folk, che è da sempre nelle loro corde ma che lì prendeva il sopravvento, facendo assumere al loro suono una forma meno personale, più consueta. In coda alla recensione della raccolta di rarità Early Birds, su queste stesse colonne, un po’ troppo malignamente forse, auspicavo una “rinascita autorale” alla luce di un “progressivo appannamento”.
Affermare che questa rinascita sia avvenuta o che sia attualmente in atto, sarebbe eccessivo ed anche precipitoso ma, certo, con Smilewound il combo islandese dà al proprio percorso artistico una sterzata radicale, riportandosi indietro; ripartendo da quell’elettronica organica che ne aveva tracciato i parametri espressivi; ricompattandosi attorno ad una formazione che con la ricomparsa di Gyða Valtýsdóttir riassume quasi i connotati originali. Seppure a questo non corrisponda, necessariamente, il passo del gambero ma piuttosto il recupero di uno spirito originario che si autoanalizza, comunque, da una serie di prospettive mutevoli, senza mai dimenticare il proprio passato (recente o remoto che sia), che anzi ricompare insistentemente, facendosi stile.
Così When Girls Collide, tra punteggiature arcade pop e singulti ad un passo dall’house, si svela solare ballata corale in aperta continuità con la loro produzione più recente. Le digressioni da fiaba sonora, la pioggia di glitches, l’atmosfera ovattata e glaciale, la malinconia artica di Slow Down riporta immediatamente ai Múm di Finally We Ate No One. Mentre le sospensioni pianistiche, gli acuti strozzati, le placide incursioni (anti)ritmiche fanno di Underwater Snow, sin dal titolo, un’ideale outtake di Summer Make Good. Altrove sono gli archi a tenere testa ai suoni di sintesi: conducendo ora ad un’ideale Penguin Cafe Orchestra su base Neu/Tortoise in rotta con le pulsioni infantili di casa (On Smmmmmile); ora a strumentali sospesi tra il malinconico e il giocoso, tra il neoclassico e il folk polare (Eternity Is the Wait Between Breaths).
Il tutto è agitato da una sorta di pantomima mainstream, che Örvar si porta dietro dal progetto parallelo FM Belfast e che si esprime attraverso una vocalità che, magicamente, riesce a rimanere fedele alla propria tradizione pur facendosi continuamente tentare da sirene radiofoniche. Già l’apertura di Toothwheels (ritmica electro hop, pizzicare di corde e soffi di Rhodes) è tanto Emiliana Torrini quanto Bat For Lashes. Ma è nella conclusiva, ambiente glam, Whistle che gli istinti si fanno concreti e ad apparire è Kylie Minogue e mai si sarebbe detto che le vocine fantasmatiche della Valtýsdóttir e la lascivia della popstar per definizione riuscissero ad accostarsi, penetrarsi, scambiare di ruolo, con questa sinergica facilità (poi il brano è forse il più anonimo del lotto ma questa è altra storia).
Non un capolavoro, come si è letto altrove, ma un buon punto di ripartenza per un progetto che, sulla soglia dei vent’anni d’attività, continua a non poter non suscitare interesse.