giovedì, Novembre 21, 2024

Na Isna – Un dio furioso: l’intervista

Un dio furioso è l’esordio sulla lunga distanza per i carpigiani Na Isna, cinque musicisti guidati da Marco Na Isna Lodi, autore dei testi e delle musiche ed inoltre voce e chitarra della band. Il disco, che si avvale della produzione artistica di Enrico Mescoli, Federico Truzzi e il notevole Andrea Franchi ha preso vita negli studi Lemon Head di Carpi e come ci ha raccontato Marco Na Isna Lodi mette insieme una ricerca delle proprie radici attraverso una contemplazione della natura che ne conservi l’aspetto pre-concettuale e che inviti all’osservazione diretta dei piccoli fenomeni che ci attraversano la vita.

La musica, vicina ad alcuni modelli internazionali che hanno fatto proprio l’innesto di elementi elettronici in un contesto dalla forte solidità rock (dai Radiohead fino agli Shearwater) accoglie il lavoro attentissimo e colto sui testi, la cui derivazione letteraria è a volte manifesta,  altrove invece più sottile. Da Dylan Thomas a Rimbaud, da Andrea Zanzotto fino ad Alda Merini, Marco Na Isna ci ha raccontato anche l’incontro della poesia con il loro modo di concepire la musica e la scrittura.

“Un dio furioso” aveva visto la luce in una prima versione “fantasma” nel 2014 per poi venir candidato l’ottobre dello stesso anno come migliore opera prima di cantautorato per le Targhe Tenco. Finalmente è uscito nel novembre 2015 in una forma più completa distribuita da Audioglobe e con l’artwork costituito dai bei disegni di Marino Neri e le suggestive fotografie di Angela Tugnetti.

L’unico Dio di cui dovremmo temere la furia è la natura. Questo si ricava dalle sollecitazioni poetiche di “Un dio furioso”. Ma cos’è la natura, considerato che almeno a cavallo tra sette e ottocento questa cominciava già ad essere tecnologizzata?

Forse servirebbe che, prima di porsi questioni di spiritualità (o insieme a questo), il genere umano si applicasse, unito, per ridimensionare il proprio impatto ambientale alle condizioni di sostenibilità rimaste disponibili – se ce ne sono. Dovrebbe anche essere notevolmente più facile, trattandosi di azioni concrete da compiersi in un universo concreto.
La natura, comunque, è un sistema: è la realtà fisica a cui apparteniamo, noi e qualsiasi altra forma di vita, energia o materia. L’umanità – specialmente quella più industrializzata o che ha raggiunto e sfruttato alti livelli di industrializzazione – ha saputo adattarvisi talmente bene, ispirandosi a logiche politiche, economiche e commerciali (che nemmeno sono rintracciabili, in natura), da riuscire a portarla su una soglia critica per la sua stessa sopravvivenza.
È una questione del tutto culturale, che ha ripercussioni del tutto scientifiche: risolviamola, o aspettiamoci una reazione furiosa e con tutte le forze di cui questa natura dispone.

Come mai la scelta di una tigre come immagine che sintetizza la furia degli elementi e come mai per il brano forse più elettronico dell’intero lotto?

L’immagine della tigre, secondo noi, sollecita anche scenari che sono veri e propri trionfi di bellezza naturale, intatti, non civilizzati e che, proprio per questo, sono da proteggere e salvare. Poi ritorna anche nel testo di un altro brano (Tigri dagli occhi), diventando elemento ricorrente del disco. E nella bellissima versione che ne ha realizzato Marino Neri per noi ha per fronte le radici di un albero, che è un altro elemento ricorrente.
Secondo noi però la questione andrebbe ribaltata perché, nel caso particolare de Il gobbetto del parco, si è costruita una musica su parole già esistenti: forse, quindi, è stata invece proprio l’elettronica a permettere ad un testo non esattamente contemporaneo (l’omonima poesia di Dylan Thomas, è del primo Novecento) di risuonare attuale e diretto.

E la musica? Suoni diretti o elettronica? Voi cercate di fondere elementi di un pop più acustico con incursioni elettroniche mai invadenti. Non è in gioco lo stesso rapporto percettivo tra natura e tecnologia, organico e inorganico?

Sinceramente, non ci siamo mai messi a tavolino per costruire le canzoni pensando a quanto fossero o non fossero ‘pop’. Siamo cinque ascoltatori onnivori, e dai gusti differenti, che si trovano ad arrangiare a dieci mani canzoni nate quasi sempre da un’embrionale versione chitarra e voce, con l’intento di arrivare a costruire una scaletta che, prima di tutto, ci emozioni mentre la interpretiamo. Il discorso del rapporto natura/tecnologia e organico/inorganico, invece, l’abbiamo effettivamente affrontato anche nei termini che dici tu, per quanto riguarda l’ambientazione tra sonorità acustiche, elettriche ed elettroniche.

Na isna – Un attimo, il videoclip

Come siete arrivati a collaborare con Enrico Mescoli, Federico Truzzi e soprattutto con Andrea Franchi, che a nostro avviso è uno dei produttori italiani più creativi, colti e coraggiosi?

L’amicizia e la stima sono nate in tempi non sospetti, con tutti e tre.
Sia Enrico che Federico hanno avuto modo di collaborare con alcuni di noi, in passato, per altri progetti. Dunque con loro non è stata una ‘scommessa alla cieca’. Piuttosto possiamo dire che la sinergia artistica per “un dio furioso” ha approfondito e rafforzato sia una stima che un’amicizia che già c’erano.
Con Andrea invece siamo entrati in contatto grazie alla vittoria che abbiamo conseguito in un concorso organizzato nella nostra Carpi dal Circolo Kalinka, alcuni anni fa. Conoscevamo il suo lavoro, ma si può dire che è stato un incontro fortunato perché a quel tempo ancora stavamo sviluppando uno stile nostro, non eravamo ancora entrati del tutto in possesso di una nostra identità di gruppo. Andrea ha avuto la pazienza di aspettarci e darci indicazioni da un punto di vista esterno, stimolando in noi a volte uno schiarimento di idee ed altre una forte coesione attorno a precise volontà creative. In questa fase è stato determinante l’apporto di Andrea tanto quanto quello di Enrico per ‘chiudere’ gli arrangiamenti, come poi in studio lo è stato quello di Federico per fissare le coordinate sonore del disco e dell’intero progetto.
Sottoscriviamo ogni aggettivo che avete associato al lavoro di Andrea, forti di una bellissima esperienza diretta. Possiamo sottolineare che un punto di forza delle collaborazioni nate per questa produzione è sicuramente stata l’eterogeneità delle personalità musicali e dei percorsi artistici che si sono radunate, in un clima di scambio e ricerca comune.

Nella vostra musica c’è una tensione drammatica molto forte che sembra provenire da certo pop-rock degli anni novanta, dove ancora non si aveva paura di costruire una narrazione musicale epica e di impatto, che cosa ne pensate?

Sicuramente condividiamo un debito importante verso quell’universo di sonorità e dimensioni musicali che ha dato vita a nuovi ‘generi’ ascrivibili alla storia del rock a cavallo tra la fine dei Novanta e i primi Duemila, ma non ci sembra più decisivo di quello verso il dubstep e l’elettronica, o certa musica classica sperimentale e certo jazz, o verso la parte del cantautorato internazionale più attenta alle tematiche sociali e di cronaca del nostro tempo.
Abbracciare certe parole, inoltre, specialmente quando sono firmate da veri giganti della storia della letteratura (il già citato Thomas, ma anche Arthur Rimbaud e Andrea Zanzotto..dal vivo portiamo anche brani di Alda Merini e Carlo Emilio Gadda), forse anche per la concretezza che conserva la lingua italiana rispetto all’inglese, può aver contribuito a dare questa ‘tensione drammatica’, ‘epica’, alle idee musicali con cui abbiamo costruito “un dio furioso”. Inoltre, se avessimo arrangiato un pezzo come Sui tuoi passi in chiave house o infarcendola di yodel su un ritmo terzinato e walzereccio, il risultato sarebbe stato meno credibile e, ci pare, ‘resistente’ all’usura del tempo. Avendo l’urgenza di porre argomenti importanti (la tolleranza verso il diverso, una coscienza ambientalista e che faccia tesoro degli insegnamenti della Storia..), abbiamo cercato di creare un ambiente musicale che li facesse emergere il più possibile, spesso condensando in un’unica canzone influenze provenienti tanto dagli anni della nostra formazione quanto dagli ascolti di uscite discografiche cadute a ridosso del nostro ingresso in studio d’incisione. Comunque, confermiamo: nessuna paura di costruire la narrazione in questo modo!
Quanto sono importanti per voi le radici di certo folk (pensiamo ad un brano come “Il gobbetto del parco”) e quanto è importante renderle irriconoscibili?

L’arrangiamento del testo in una forma musicale ‘narrativa’ simile a quella di certo folk è certamente un omaggio a vari maestri del genere con cui tutti noi siamo cresciuti.
Il più contemporaneo, Paolo Benvegnù, è forse proprio uno di quelli che meglio ha saputo trasfigurare la natura semplice della costruzione embrionale di un brano attraverso un lavoro articolato di intreccio e rifinitura che la arricchisca e ne infittisca la trama. È stato determinante poter collaborare con Andrea, in questo senso: è davvero un musicista e cantautore talentuoso, secondo noi, e ha certamente influenzato “un dio furioso” con la propria personale idea di musica, ma – avendo preso parte alle incisioni in studio ed alle sue tournèe degli ultimi anni – anche qualche contaminazione da Benvegnù speriamo che l’abbia indirettamente travasata nella coproduzione artistica con noi.

Na isna – Stri-stri, il videoclip

In riferimento alla domanda precedente, è interessante il lavoro fatto su “Canto di Migranti” dove invece della tradizione mediterranea che forse sarebbe stata più scontata avete scelto suoni della frontiera americana, di ascendenza quasi western, tex mex e morriconiana, come mai questa strada sonora?
Pensiamo che il tema dell’immigrazione trascenda dal luogo in cui questa si concentra, di epoca in epoca, e non volevamo correre il rischio di identificare troppo i migranti di cui cantiamo con quelli della stretta attualità.
Per provare a scollegarci da questo rischio, abbiamo mischiato le carte, un po’ anche sulla suggestione di cori pirateschi – per come ce li hanno fatti immaginare certe pagine di Stevenson o Salgari – oppure, per le sonorità, ispirandoci a Calexico e dEUS.

Potete raccontarci la collaborazione con Marino Neri e Angela Tugnetti, che per l’album hanno curato rispettivamente i disegni e le fotografie del packaging?

Nel caso di Angela Tugnetti, le idee per gli scatti sono nate in seno all’amicizia che ci legava già in tempi non sospetti, in maniera condivisa, frequentandoci e confrontandoci anche in un quotidiano lontano dal ‘cantiere’ del packaging.
Di Marino Neri conoscevamo più l’opera e meno la persona, prima di contattarlo per proporgli la collaborazione: sono alcuni anni che pubblica ed espone racconti illustrati o raccolte di sue opere, e fin dalla prima volta in cui ci siamo chiesti a chi potessimo affidare la realizzazione di contributi figurativi che bene ci rappresentassero, il suo nome è stato il primo della lista. Alcune amicizie comuni hanno permesso un contatto diretto: ci siamo capiti al volo, forse grazie anche ai suoi trascorsi come musicista, ed è trascorso davvero pochissimo tempo dal momento in cui abbiamo concordato su quali immagini si dovesse concentrare il suo lavoro a quello in cui ne abbiamo potuto vedere la (perfetta) realizzazione.
Come porterete su palco i brani di “un dio furioso”?

Se si eccettua l’ordine in scaletta, che difficilmente ripetiamo identica tra un’esibizione e l’altra, il concerto è decisamente fedele al disco, anche se in alcuni contesti abbiamo già aggiunto alcuni inediti e sperimentato una versione più acustica e minimale delle canzoni di “un dio furioso” – portandola anche come set per dirette radiofoniche, ad esempio.
Nelle ultime settimane ci siamo rimessi al lavoro per arricchire il repertorio di nuove pagine, nell’intento di realizzare un secondo album quanto prima possibile.

Alessandro Allori
Alessandro Allori
Dal 2003, anno della sua Laurea in Scienze Politiche Alessandro Allori si è dedicato dedicato al campo della comunicazione, del marketing e del giornalismo. Ha collaborato con numerosi settimanali e si occupa di maketing e contenuti redazionali per alcune agenzie di comunicazione.

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