Television Man è il secondo album, dopo il già molto interessante The Feeling, per i Naomi Punk, combo originario dello stato di Washington poco avvezzo alla comunicazione 2.0 (cercateli sui social network e visitate il loro sito per capire meglio), alfieri di quel garage rock inquieto e rumoroso che da qualche anno a questa parte sta scuotendo l’underground statunitense e proponendo ottime band, da Ty Segall in tutte le sue incarnazioni agli ottimi Parquet Courts.
All’interno dell’ondata appena citata il trio del nord-ovest sembra il meno interessato alla forma canzone, che viene spesso abbandonata in favore di una ricerca sonora spostata verso la catatonia e l’iteratività, soprattutto nei vari brani (in particolare Eon Of Pain) ed intermezzi strumentali che a un primo ascolto sembrano semplicemente fare da ponte tra i pezzi cantati ma che invece sono probabilmente un elemento chiave che fa salire e scendere il ritmo, che spezza l’ascolto e propone le idee poi rimasticate e risputate nelle altre canzoni.
Catatonia, si diceva: le canzoni sembrano infatti scritte sotto l’effetto di qualche sostanza psicotropa o tutt’al più di abbondanti dosi di birra doppio malto, da come paiono sfocate e caracollanti, con in più la voce semi-nascosta. Ma nonostante ciò stanno in piedi, basate su riff semplici, nel solco della tradizione garage, e su una compattezza sonora che riesce comunque ad emergere dalle nebbie alcoliche (o porpora, per citare un chitarrista abbastanza famoso nato nello stato di Washington) senza mai lanciarsi a velocità troppo sostenute come illustri colleghi di genere fanno.
E non solo stanno in piedi, ma funzionano molto bene, con tre o quattro episodi degni di assoluto rispetto, in particolare il brano d’apertura Firehose Face, bello stonato ma in grado di crescere e guadagnare spessore nel giro di un paio di minuti, e quello di chiusura, Rodeo Trash Pit, che supera gli otto minuti creando un’atmosfera abbastanza malsana ma che riesce ad avvolgere l’ascoltatore e a portarlo quasi in stato di trance, facendogli così raggiungere gli autori del brano nel loro mondo psicotropo.