domenica, Dicembre 22, 2024

Naomi Shelton and the Gospel Queens – Cold World: la recensione

Lo diceva chiaramente la stessa Naomi Shelton ai tempi di What Have You Done? il full lenght di debutto pubblicato da Daptone records nel 2009: “la mia non è una gospel band, ma una soul band che scrive e interpreta canzoni sull’amore e sulla fede“. E le influenze erano del resto quelle, sospesa tra il funk di James Brown e il soul di Sam Cooke, la musica di Naomi proveniva in parte da un’esperienza di diversi decenni spesi nei club e nelle chiese tra New York e la Florida prima di approdare ad un contratto discografico vero e proprio, una formazione del tutto “classica” che ha consentito alla cantante afroamericana di recuperare un sound specifico e ben storicizzato senza il bisogno di architettare troppi aggiornamenti, e questo con il coraggio di chi non si preoccupa di apparire pericolosamente “vintage” proprio perchè quello che interessa a Naomi è in fondo la ricerca della verità esattamente per come l’ha raccontata Cody Chesnutt alle videocamere di indie-eye; una differenza sostanziale tra postura e prassi, anche perchè riteniamo, che a 70 anni suonati, Naomi oltre a non essere minimamente interessata a fingere, possa permettersi di dire qualcosa sull’argomento.

E in questi cinque anni che separano la pubblicazione del primo capitolo delle Gospel Queens dal nuovo “Cold World” in uscita a fine luglio 2014, l’esperienza di Naomi si è trasferita sui palchi principali dei più importanti festival internazionali tra cui il Monterey Jazz Festival e l’Ottawa Blues Festival; occasioni che alla fine del percorso hanno avuto un’importanza nodale nella scrittura dei nuovi brani grazie anche al coinvolgimento diretto di Gabriel Roth, conosciuto come Bosco Mann, l’uomo dietro i brani di Sharon Jones & The Dap-Kings, co-fondatore della Daptone e che nel giugno 2013 ha trascinato Naomi in studio per registrare dodici brani ispiratissimi su un otto tracce. Oltre a Edna Johnson e Bobbie Gant che accompagnano la Shelton da più di vent’anni, arriva la recluta Angel McKenzie, troviamo ancora Brother Cliff Driver, il cui “honky-tonk” ha accompagnato leggende come Baby Washington, Little Willie John, King Curtis, Sam Cooke, Jackie Wilson, e anche Solomon Burke; mentre al basso subentra un altro veterano come Fred Thomas, che ha speso buona parte della sua carriera insieme a James Brown. Jimmy Hill, già insieme a Wilson Pickett alla fine dei sessanta torna con il suo Hammond e la chitarra è affidata ad un diciassettenne chiamato Max Shrager.

Se la formula delle Queens sembra in parte rimasta invariata, i nuovi brani hanno una presa più immediata e puntano maggiormente al suono Stax di Staple Singers e alla rilettura del gospel fatta da Curtis Mayfield, senza lasciare indietro il groove ossessivo di James Brown, anche ad un livello puramente sensoriale, proprio per quanto riguarda la qualità delle registrazioni, diretta, imprecisa e assolutamente vitale. Brani come It’s a Cold Cold World, Bound for the promised land, Get up child in parte sembrano riferirsi all’ultima fase della carriera di Cody Chesnutt ma allo stesso tempo si allontanano dalle contaminazioni più complesse del soulman di Atlanta scegliendo una via meno trasversale e dialogando direttamente con lo spirito dei classici. Per chi crede che tutto questo non abbia alcun senso nel 2014, la differenza è la stessa che intercorre tra chi si masturba nel salottino colto del collezionista e chi ha mangiato cinquant’anni di polvere, amore e fede tra chiesa e strada.

Ugo Carpi
Ugo Carpi
Ugo Carpi ascolta e scrive per passione. Predilige il rock selvaggio, rumoroso, fatto con il sangue e con il cuore.

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