Esordio sulla lunga durata del quartetto canadese, già autore dell’EP autoprodotto New Calm, che mai ti aspetteresti di trovare accasato presso Constellation. Eppure ad un ascolto più attento, i mille stimoli a cui soggiace il suono della band, hanno forse più di una consonanza con quanto prodotto dall’etichetta, almeno sul piano prettamente teorico (ma in fondo non solo, se si ripensa alle produzioni della Bouzulich o andando indietro sino ai Fly Pan Am). Tant’è che la band si produce in una sorta di sintesi estrema di quanto lo scibile post punk possa portare con se: in uno spazio apparentemente, totalmente, votato ai Wire di Chairs Missing, rievocati in particolare dal timbro vocale di Tim Beeler che pare proprio avere Colin Newman aggrappato alle corde vocali (ma filtrato dai mai lodati abbastanza June Of ’44), si susseguono a rotta di collo note dritte e non, tra rievocazioni Fall/Television in salsa indie glam anni zero (The Weather Song e Around Again); ostinati in falso crescendo di marca Lungfish (Pleasent Heart); tributi minori a connazionali maggiori (i Godspeed etilici nel dialogo violino/organo di Forgiveness) e fugazismi di terza o quarta generazione (Clarity!). Perché è dappertutto qualcosa d’ineffabile che dice di un hardcore, specie se di memoria Wahingthon DC ma intellettualmente (ancora più) elevato da tante sommesse influenze avant, così care alla casa madre.
Tutto scorre velocemente ed aspro ma anche estremamente vitale e positivo com’è giusto che sia, se a suonare è un gruppo di giovani sbarbati e sinceri. Insomma, le soprprese latitano alquanto ma nondimeno il disco risulta godibile ed onesto e soprattutto, curioso cortocircuito temporale, pare destinato ad un pubblico maturo: un pubblico di ex ventenni con le orecchie ed il cuore rimasto al guado dei ’90. Bravi.