Il noto studio Hipgnosis fondato a Londra alla fine degli anni sessanta da Storm Thorgerson e Aubrey “Po” Powell per realizzare sostanzialmente le copertine dei maggiori dischi del panorama internazionale, subisce una battuta d’arresto tra il 1982 e il 1983, a causa di un vero e proprio travaso di energie creative, dirottate verso la neonata Green Back Films.
Desiderata e voluta dagli stessi Storm & Po insieme a Pete Christopherson, già parte di Hipgnosis a partire dal 1974, la casa di produzione realizzò in breve tempo una manciata di video e qualche long-form, per poi dissolversi dopo il 1985, in seguito ad una crisi finanziaria nerissima e per dissapori tra i soci già nell’aria da tempo.
Thorgerson continuerà a realizzare artwork per gli album di artisti internazionali e alcune incursioni nell’ambito video, mentre Christopherson dirigerà numerosi videoclip dalla seconda metà degli anni ottanta fino a tutti gli anni novanta, diventando uno dei registi più interessanti di tutta l’era catodica.
Per la Green Back la firma accreditata di quasi tutti i videoclip è quella di Storm & Po, ma la divisione dei compiti impiegava quasi sempre il primo dietro la macchina da presa e il secondo come produttore.
Owner of a Lonely Heart, il videoclip che veicolava 90125, l’undicesimo album degli Yes, fu girato a Londra e programmato frequentemente da MTV, soprattutto nella versione edit che escludeva la lunga intro con la band filmata all’interno di un teatro e un segmento senza musica che passa in rassegna la trasformazione dei membri della band in una serie di animali.
La versione pubblicata una decina di anni fa sul canale YouTube ufficiale della band, è quella integrale di 6,41 minuti.
Interpretato da Danny Webb poco dopo i suoi esordi televisivi, il video segue le tracce di un uomo comune nell’anonimato della folla mentre si reca presumibilmente al lavoro. Catturato da due funzionari di un non precisato stato di polizia, viene condotto in un palazzo molto simile a quello della Stasi o comunque modellato sull’immaginario di altri regimi, ed infine velocemente processato davanti alle autorità. Tutt’intorno lavoratori, persone in attesa e un popolo ridotto all’automazione. Il segmento è filmato in bianco e nero, mentre durante il percorso, l’uomo subisce numerosi shock di natura subcosciente che vengono rappresentati a colori.
I sogni lucidi coinvolgono animali di vario genere, inclusi quelli della prima parte del video, che invadono la quotidianità e il corpo dell’uomo. Spedito al centro di una fonderia collocata nel seminterrato del palazzo, l’uomo riesce ad evadere dopo una colluttazione e a raggiungere il tetto, arrampicandosi lungo una scala di servizio. Tutta la sequenza, incluse quelle successive, sono a colori, segnalando un passaggio tra due piani di realtà.
Gli Yes al completo compaiono ad uno ad uno sul tetto e circondano l’uomo, con una disposizione che ricorda molti degli artwork di Thorgerson, dove la geometria degli spazi reali contrasta sovente con un surplus di realtà simbolica.
L’uomo, accerchiato dalle diverse rappresentazioni della propria coscienza, almeno secondo una possibile interpretazione animista, fugge verso il bordo estremo del tetto e si lancia nel vuoto in un disperato volo libero. L’impatto non si verifica e il corpo lascia il posto ad un’aquila, la stessa in cui si è trasformato Jon Anderson all’inizio del video.
La soggettiva sulla città dall’alto è adesso quella disincarnata di uno sguardo ormai libero da qualsiasi legame, e l’uomo, di nuovo tra la folla e in cammino sullo stesso ponte dove l’avevamo incontrato all’inizio del video, cambia improvvisamente passo rispetto a quello collettivo e si dirige in direzione contraria, mentre il dispiegarsi di un paio d’ali invisibili occupa il campo sonoro.
La sinossi ci serve a comprendere prima di tutto la forma di un video narrativo molto diffusa nei primi anni ottanta, dopo una prima fase più sinestetica che giocava maggiormente sulle forme, i colori, le linee e i concept promozionali complessivi, sviluppati a partire dal lavoro grafico e fotografico sull’oggetto discografico stesso. Un esempio di cui abbiamo già parlato è Making Plans for Nigel realizzato nel 1979 per gli XTC.
Owner of a lonely heart circola tra l’ottobre e il novembre del 1983 e rappresenta un paradigma che Thorgerson ripeterà con esiti differenti, sfruttando la tendenza del momento orientata al racconto di piccole storie narrative, ma sostanzialmente minandone lo statuto dall’interno.
Quello che caratterizzava i suoi video era lo stesso spirito che aveva animato quasi vent’anni di creatività influenzata dai principi del surrealismo, nella costante inversione dei piani di lettura dell’immagine, tra ciò che intendiamo come realtà e la sostanza dei sogni.
C’è anche un aspetto organico, legato al rifiuto sostanziale di ogni intervento digitale, una resistenza mantenuta con coerenza anche quando era impossibile farlo e che ben si sposa con il peso specifico dell’industria videomusicale di quegli anni.
Se qualche anno dopo, per l’artwork di A Momentary Lapse of Reason dei Pink Floyd, Thorgerson trascinerà ben settecento letti vuoti sulla spiaggia di Saunton Sands Beach per realizzare una serie di scatti, questa stessa tendenza ad allestire imponenti realtà parallele, rimane pressoché invariata nei suoi videoclip, con alcune eccezioni dove proverà ad innestare la prima effettistica elettronica, conservando comunque un punctum fotografico fondamentale, come accade in Wouldn’t It Be Good, bizzarro metavideo realizzato per Nik Kershaw nel 1984, anche in questo caso sollecitato da una dimensione parallela come quella della memoria.
L’incubo ad occhi aperti di Owner of a lonely heart, al di là della chiusa metaforica apparentemente semplicistica ed esile, è interessante proprio per le interferenze tra diversi piani della visione, dove si innesca un dialogo tra musica e immagini di natura ritmica e generativa, che spesso emerge dalle liriche del brano per condurre segni e significati altrove.
Thorgerson utilizzerà un procedimento molto simile con il censuratissimo video di otto minuti realizzato per Belouis Some. (si vede da questa parte)
Nel 1985, l’italiana Videomusic trasmetteva il video integrale di Imagination solo nella rotazione notturna, a causa delle immagini ad alto contenuto erotico che ovviamente oggi potrebbero farci sorridere.
I due video sono molto simili per quanto riguarda l’innesco narrativo e coinvolgono la dimensione violenta di un regime, che impedisce la libera espressione dell’immaginario.
L’esplosione di una sessualità voyeuristica e promiscua consente al fotografo di sbizzarrirsi con una serie di riferimenti, tra gli altri, all’arte di Man Ray e al cinema di Stanley Kubrick, ricodificati secondo i parametri della stagione Supermodels che invaderà i territori dell’advertising e della videomusica anche nel decennio successivo. Libere associazioni del desiderio che si combinano con la musica per suggestione, sollecitazione, addizione, corrispondenza.
Superfici e metamorfosi belle da godere.