venerdì, Novembre 22, 2024

Paolo Benvegnù – Earth Hotel: la recensione

Niente è casuale negli album di Paolo Benvegnù. Non lo è l’ordine delle tracce, l’accurata scelta della nominazione. Non è casuale l’artwork, la presentazione generale, la compagine di musicisti, i testi.

La tendenza alla letterarietà pervasiva che era emersa prepotente in Hermann dà nuovamente tracce di sé, sbucando nell’articolata costruzione del booklet la cui semantica è figlia di una perpetua associazione di idee che dalla terra, dal piano 1, corrono verso l’alto fino a respirare a pieni polmoni l’aria secca e rigida del dodicesimo piano. Come già accaduto in passato, l’amore e le mille declinazioni insite nella parola fanno da protagoniste e da ispirazione per i passaggi di Earth Hotel. Sarebbe ingenuo inoltre, non cogliere nell’album il richiamo all’ascesa e non vedere nei dodici racconti contenuti altrettanti muscoli tesi verso l’alto, volti a raggiungere un punto di vista privilegiato e guadagnare da lassù un’ardua visione di insieme.

Dodici prospettive amorose, sentimentali, apparentemente diverse che confluiscono verso l’infinito fino ad incontrarsi e a raggiungere la una riconciliazione insperata.
C’è l’amore logorato dalla distanza e vissuto in attesa del ritorno (Nello spazio profondo), quello orfano di destinatari (Una nuova innocenza) ma anche quello crepuscolare e casalingo (Hannah).

Nell’intrico di Earth Hotel, i contrasti di chiaro/scuro, pieno/vuoto, presenza/assenza che riaffiorano sulle labbra di Benvegnù fino a creare dei fragilissimi rimandi a testi di album precedenti (Anime Avanzate, La Distanza). Passando dai contrappunti affilati del violino e degli archi (Stefan Zweig, la cui scrittura è soggetto di un recente film di Patrice Leconte sul sentimento amoroso) all’imprecisione elettronica del sintetizzatore e della batteria (Piccola pornografia urbana), Benvegnù conferisce corpo e volume a tutte quelle illusioni, speranze e ideali che sono come linfa per l’essere umano.

Un disco apolide che può permettersi di planare sui quartieri latini di Avenida Silencio passando attraverso quelli francesi e poi americani, fermarsi e ripartire per raggiungere  l’altro capo del mondo fino a Shangai. Paolo Benvegnù regala la possibilità di effettuare un giro del mondo estemporaneo, eliminando il cruccio del tempo e affidando le colonne d’Ercole del globo a queste due parole (Earth Hotel) che suggeriscono una certa predominanza della lettera H, muta nel nostro alfabeto ma generatrice di tutto in quello benvegnuiano.

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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