Niente è casuale negli album di Paolo Benvegnù. Non lo è l’ordine delle tracce, l’accurata scelta della nominazione. Non è casuale l’artwork, la presentazione generale, la compagine di musicisti, i testi.
La tendenza alla letterarietà pervasiva che era emersa prepotente in Hermann dà nuovamente tracce di sé, sbucando nell’articolata costruzione del booklet la cui semantica è figlia di una perpetua associazione di idee che dalla terra, dal piano 1, corrono verso l’alto fino a respirare a pieni polmoni l’aria secca e rigida del dodicesimo piano. Come già accaduto in passato, l’amore e le mille declinazioni insite nella parola fanno da protagoniste e da ispirazione per i passaggi di Earth Hotel. Sarebbe ingenuo inoltre, non cogliere nell’album il richiamo all’ascesa e non vedere nei dodici racconti contenuti altrettanti muscoli tesi verso l’alto, volti a raggiungere un punto di vista privilegiato e guadagnare da lassù un’ardua visione di insieme.
Dodici prospettive amorose, sentimentali, apparentemente diverse che confluiscono verso l’infinito fino ad incontrarsi e a raggiungere la una riconciliazione insperata.
C’è l’amore logorato dalla distanza e vissuto in attesa del ritorno (Nello spazio profondo), quello orfano di destinatari (Una nuova innocenza) ma anche quello crepuscolare e casalingo (Hannah).
Nell’intrico di Earth Hotel, i contrasti di chiaro/scuro, pieno/vuoto, presenza/assenza che riaffiorano sulle labbra di Benvegnù fino a creare dei fragilissimi rimandi a testi di album precedenti (Anime Avanzate, La Distanza). Passando dai contrappunti affilati del violino e degli archi (Stefan Zweig, la cui scrittura è soggetto di un recente film di Patrice Leconte sul sentimento amoroso) all’imprecisione elettronica del sintetizzatore e della batteria (Piccola pornografia urbana), Benvegnù conferisce corpo e volume a tutte quelle illusioni, speranze e ideali che sono come linfa per l’essere umano.
Un disco apolide che può permettersi di planare sui quartieri latini di Avenida Silencio passando attraverso quelli francesi e poi americani, fermarsi e ripartire per raggiungere l’altro capo del mondo fino a Shangai. Paolo Benvegnù regala la possibilità di effettuare un giro del mondo estemporaneo, eliminando il cruccio del tempo e affidando le colonne d’Ercole del globo a queste due parole (Earth Hotel) che suggeriscono una certa predominanza della lettera H, muta nel nostro alfabeto ma generatrice di tutto in quello benvegnuiano.