domenica, Novembre 17, 2024

Parker Millsap – s/t: la recensione

Nato in Oklahoma e cresciuto in una chiesa pentecostale, Parker Millsap debutta a soli 21 anni con un album di dieci canzoni, colleziona una serie di recensioni entusiastiche dalla stampa americana mainstream e ottiene un premio prestigioso come quello dell’Americana Music Association che lo nomina miglior artista emergente dell’anno.
Con una scrittura letteraria coltissima e di matrice quasi Steinbeckiana, ma non per questo citazionista, Parker si muove in quel tracciato sottile tra performance e vita, e inanellando una serie di riferimenti biblici legati alla sua relazione non riconciliata con la religione mette in piedi uno degli episodi più vitali, commoventi e potenti della musica Americana compromessa con la tradizione che ci sia capitato di ascoltare negli ultimi anni.

Fa quasi impressione ascoltare la voce di Parker Millsap con l’idea che abbia poco più di vent’anni, perchè il quadro della realtà rurale che dipinge ha lo spessore adulto di una storia ancestrale, quella che attravero la militanza Red Dirt Music, il genere introdotto da Bob Childers e sviluppatosi a Stillwater, parla della sua terra cambiando le carte della musica country attraverso infiltrazioni di altri generi tra cui la sensualità dello swing, la furia disperata del blues, le spezie messicane e ovviamente il lamento corale e gospel che già muta la forma del country in bluegrass.

Chitarra acustica, un violinista, basso, una batteria leggerissima, pedal steel e in alcuni brani una meravigliosa sezione fiati orientata verso il soul di Memphis rivisto attraverso la malinconia e la causticità di Randy Newman, accompagnano una narrazione quasi sempre declinata in prima persona, vero e proprio racconto documentale tra politica, religione e sentimento interiore legato a filo doppio alla gente dell’Oklahoma e che si sdipana lungo dieci brani dal fortissimo impatto emozionale.

Il racconto quotidiano di Millsap descrive gli aspetti più negativi della religione (Old time Religion) o al contrario quelli più benefici legati alla condivisione con gli altri (Truck Stop Gospel) spostandosi all’interno di un sentimento amoroso spezzato con una coda soul da brivido (The Villain) fino all’urgenza della fuga da una terra diventata angusta (Disappear), frammenti personali ma anche letterari, che con l’abilità di un grande romanziere confondono vita e invenzione con l’unico comun denominatore della verità.

Millsap ci graffia l’anima con una voce aspra e di cartavetro come fosse quella di un uomo vissuto e che ha partecipato al gioco della vita per lungo tempo, senza che diventi maniera o simulazione di una parte da interpretare; e non è solo un fattore legato alla scrittura letteraria ma al modo in cui questa interagisce con il songwriting vero e proprio, questione di pause, tempi, ritmo, passione, sangue e polvere.

E se dopo aver sentito la furia rabbiosa di Quite Contrary non siete ancora convinti, è probabile che siate fatti per vivere il resto dei vostri giorni in un salottino a bere dell’immondo spritz, perchè Parker Millsap possiede un fervore che non si affronta con le mezze misure e ci consente di ritrovare il valore ciclico di un classico, quando siamo in grado di riconoscerlo.

Ugo Carpi
Ugo Carpi
Ugo Carpi ascolta e scrive per passione. Predilige il rock selvaggio, rumoroso, fatto con il sangue e con il cuore.

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