Le origini visuali e politiche di Don’t Give Up, uno dei singoli che Peter Gabriel utilizzò per promuovere “So“, sono note. L’artista inglese rimane colpito da alcune foto di Dorothea Lange contenute nel volume “In this proud land: America, 1935-1943, as seen in the FSA photographs“. A polarizzare la sua attenzione, come dichiarerà ad NME, è la serie di foto che ritrae le condizioni dei contadini durante le cosiddette Dust Bowls, ovvero le tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti centrali e il Canada tra il 1931 e il 1939, durante la grande depressione. Gabriel fornisce una lettura più stratificata e sovrappone questo sentimento di disagio alle condizioni dei lavoratori nell’Inghilterra di Margaret Thatcher.
Con una copertina astratta curata da Peter Saville e Brett Wickens su foto di Trevor Key, il singolo esce il 27 ottobre del 1986 per raggiungere il nono posto nelle classifiche britanniche il mese successivo.
Verrano realizzati due videoclip, il più noto dei quali diretto dai geniali Godley & Creme, impegnati ad escogitare una soluzione visuale di impatto per rendere al meglio la forma antifonale del brano, nel dialogo tra Gabriel e Kate Bush.
Mentre Gabriel racconta la deriva di un uomo senza speranza, i versi pronunciati da Kate hanno il compito di infondere fiducia e di caratterizzare la forza ascensionale del brano.
Godley & Creme realizzano il video in un solo piano sequenza, collocando Gabriel e la Bush sullo sfondo di un intero ciclo solare, fino all’eclissi e ad una successiva riemersione della luce. In forma del tutto simmetrica rispetto alle liriche, questa doppia rotazione, dei corpi e della stella madre del sistema solare, consente una serie di combinazioni. Mentre le parti suddivise dalle liriche regolano la durata del movimento e della presenza in camera dei rispettivi interpreti, il sole raggiunge l’eclissi nel punto centrale del brano.
Godley & Creme sfruttano un immaginario molto vicino a quello dei corpi Hollywoodiani collocati “contro” il paesaggio, dall’esplosione del Technicolor in poi, elaborando una poetica elettronica tutta nuova e reiterando in loop un gesto che diventa infinito, come già accadeva nei video di Zbigniew Rybczynski, ma anche nell’advertising ideato dal geniale duo in quegli anni.
Don’t Give Up diventa allora un video Zen, nel rovesciamento continuo del bene dentro al male, nella luce del sole che incontra il lato più oscuro.