Una lunga gestione accompagna l’attesa per il nuovo capitolo dei JoyCut. Li avevamo lasciati nel 2008, reduci dalle fatiche di The Very Strange tale of Mr. Man, recensito a suo tempo qui su indie-eye.
Settembre ha salutato l’uscita di PiecesOfUsWereLeftOnTheGround, ultimo album per la formazione lucano-bolognese e in uscita per la Irma Records. Quindici tracce che si tingono di una new wave fosca e oscura, un viaggio musicale che è stato definito dagli stessi JoyCut come “un salto nell’abisso”. E in effetti i suoni di PiecesOfUsWereLeftOnTheGround indagano un’elettronica lunare, relegata in uno splendido isolamento che ha dell’autarchico. Abissali sì, ma anche intimi, fluttuanti, capaci di dolcezza infinita, melodici, come in Funeral, la traccia che meglio di tutte sintetizza il progetto JoyCut. E come potrebbe essere diversamente, quando il nome stesso rimanda a due monoliti della storia musica, rispettivamente Nick Drake e Roger Waters. JoyCut è il frutto di un cut-up fra le canzoni Joey e The Final Cut (Drake e Waters), e se vi accingerete all’ascolto dell’album con questo appunto nel taschino, qualcosa dei JoyCut vi suonerà più chiaro.
Nell’ampiezza della tracklist, gli zig zag dei JoyCut incalzano i minuti dell’album; una pulsante Wireless guarda ad una potenziale nomination come soundtrack pubblicitaria, gli strappi al synth di Drive vengono assaliti da sferzate epilettiche fra l’elettro-dance e l’industrial, l’apertura di Dark Star ammicca a certe sonorità alquanto New Order. Un continuo scambio di flussi ed energie forma la colonna vertebrale del disco, sali e scendi sonori che vanno dal crepitare caldo di ChildrenInLove, alla succinta Berlin, passando per il sound meccanico del vocoder di KidsKidsKids. Scenari metropolitani, quartieri urbani sui quali calano ritmi ora tribali ora elettronici.
Un decisivo passo avanti per la coppia Pasquale Pezzillo e Gael Califano, che con PiecesOfUsWereLeftOnTheGround raggiunge la quadra della perfezione, affidando all’espressività strumentale i contenuti dell’album.