J Willgoose Esq, artefice principale dietro gli ottimi Public Service Broadcasting, non si era mai avvicinato alle comunità minerarie e all’attività delle acciaierie gallesi prima di avventurarsi nello sviluppo del nuovo “Every Valley“.
Rispetto al lavoro fatto per il secondo disco sulla lunga distanza, “The Race for Space“, di cui ci aveva parlato approfonditamente in questa foto-intervista concessa a Pozzi/Pontiggia, non sono bastati gli archivi della BBC, tanto che il suo approccio si è avvicinato sempre di più a quello di un documentarista.
La combinazione di “voci lontane, sempre presenti” che i PBS contestualizzano da sempre in seno alla loro musica, non è semplicemente la ricerca di un incastro perfetto o la trasformazione dei frammenti in “oggetti” del discorso musicale. Questo è il risultato, eccellente, che arriva all’ascoltatore, mentre il processo è molto più tridimensionale rispetto alla superficie.
A differenza di una prassi che in Italia, nel cinema e nella musica, ci consegna spesso orrendi progetti istantanei pilotati dall’ego e nati dall’attualità, dalle istanze celebrative e dalla Storia, J Willgoose Esq si è immerso per mesi in un’appassionata ricerca, culminata nella registrazione del disco avvenuta lungo tutto il mese di gennaio all’istituto di Ebbw Vale, collocato nella stessa cittadina e costruito nel 1849 dalle acciaierie locali.
I documenti che ha raccolto, sono molteplici ed eterogenei, coinvolgono la storia minima dei lavoratori in relazione agli aspetti più oscuri e distruttivi del progresso, fino al Referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea e alle conseguenze negative sull’economia delle piccole comunità.
È un’elegia del lavoro ma anche di un mondo che scompare, di intere comunità sostenute dal boom economico e poi lasciate perire senza memoria.
I PBS torneranno in Italia per due date, dopo i recenti concerti nella penisola, grazie a Barley Arts.
Sarà possibile vederli il 9 novembre presso il Santeria Social Club di Milano e il giorno successivo al Monk Club di Roma.
I loro live, come ci racconta in dettaglio J Willgoose Esq, fanno riemergere la documentazione che interagisce con la musica, assumendo una forma nuova, questo perché tutti i filmati, le trasmissioni radiofoniche e i documentari che concorrono alla creazione dei campioni e delle voci presenti nell’album, prendono nuova vita grazie ad un apporto audiovisivo fondamentale, impiegato in tutti i concerti e costituito dai montaggi elaborati dagli stessi PBS per le retroproiezioni su palco.
Per conoscere meglio le fasi di questo lavoro, fino ai set live, siamo tornati a parlare con J Willgoose Esq
Public Service Broadcasting – Progress – Dir: Lucy Dawkins e Tom Readdy. Per la Yes Please Productions.
Prima di parlare del vostro nuovo, bellissimo, album mi piacerebbe chiederti qualcosa più in generale sul vostro metodo che alla composizione aggiunge gli aspetti della ricerca. È una prassi molto simile al lavoro di un bravo documentarista. Quanto è importante per voi la profondità e l’accuratezza della ricerca prima ancora di pensare all’aspetto musicale?
Se si presume di coprire un argomento ad un certo livello, come quello che cerchiamo sempre di fare, devi a quell’argomento tutta la ricerca e il rispetto necessari. Si tratta ovviamente di moltissimo lavoro, ma per quanto ci riguarda è un approccio davvero importante. Ci offre le basi e le fondamenta per tutti gli altri aspetti dell’album, diventa una materia connettiva.
E per quanto riguarda la seconda fase più strettamente compositiva, è qualcosa che nasce necessariamente dai documenti, le storie e i frammenti raccolti dopo che l’intero quadro è diventato chiaro, oppure scrivete la musica durante lo stesso processo di ricerca?
Ci sono idee frammentarie che emergono e che cerco costantemente di connettere all’argomento o alla rete di documenti, tentando di capire se tutto suona semplicemente bene, oppure da un punto di vista più strutturale, se funziona davvero. Talvolta un frammento di ricerca consente di produrre alcune idee creative immediate e urgenti, in quel caso la scrittura risponde direttamente al materiale trovato.
La musica quindi è legata strettamente alla scrittura oppure c’è anche una dimensione improvvisativa?
Beh, quando si scrive, la scrittura in sé è sempre un atto improvvisativo, non ti sembra?
Si, sono assolutamente d’accordo, quanto allora l’imprevedibile influisce sul previsto?
Diciamo che si cerca di tirar fuori le cose, di farle uscire e di vedere se funzionano, oppure se qualcosa genera una reazione e se c’è la possibilità di stabilire delle connessioni con i materiali. A quel punto si cercano i metodi per modificare il risultato e per adattarlo, ed è una prassi che non è particolarmente prevedibile.
Public Service Broadcasting – They Gave Me A Lamp – Dir: Brain Walsh
“Every Valley” ha origine dall’analisi delle comunità di lavoratori industriali del sud del Galles. Un mondo che sta scomparendo. Che tipo di documentazione avete messo insieme per entrare dentro l’argomento, e sopratutto per conoscere le storie comuni delle persone, nascoste tra le pieghe della grande Storia?
Documenti di tutte le tipologie immaginabili. Prima di tutto abbiamo visionato interviste con gli ex minatori, documentari, film, libri, poesia, archivi di documentazione audio. Moltissimo materiale. Cominciamo sempre con un libro per acquisire una visione d’insieme. La lettura in genere ti consente di attivare sempre un pensiero creativo.
Avete trovato tutto quello che vi serviva a livello documentale oppure avete avuto bisogno di aggiungere altri elementi, per esempio letterari e poetici?
Trovare alcuni documenti è stato molto difficile, ma per questo album abbiamo cercato di lavorare nel modo meno ovvio possibile, per esempio coinvolgendo Jean Dean Bradfield dei Manic Street Preachers per cantare la sua versione di un poema scritto da Idris Davies intitolato Gwalia Deserta, oppure scrivendo alcuni testi personalmente come quello di “You + Me”
Il suono di “Every Valley” è più oscuro, dark e inquietante dei precedenti album e talvolta mi ha ricordato la parte migliore della musica strumentale chicagoana degli anni ’90. Che cosa ne pensi?
Adoro i Tortoise, quindi considero quello che mi dici come un grandissimo complimento. Credo sia un disco più stratificato, più organico e “terreno” rispetto ai precedenti lavori dei Public Service Broadcasting; è il frutto di un tentativo deliberato di cambiare il nostro stesso suono e di trovare quindi una dimensione evolutiva.
Puoi raccontarci qualcosa in più sulla collaborazione con Jean Dean Bradfield a cui accennavi, per il brano “Turn No More”?
Abbiamo suonato con i Manic Street Preachers diverse volte, così durante il concerto più recente tra quelli condivisi, che si è svolto nella città costiera di Swansea, ho chiesto semplicemente a James se era interessato alla cosa, e fortunatamente ha accettato. È stato davvero generoso ad offrire il suo tempo e il suo supporto e ha contribuito tenedomi lontano da un paio di cattive idee che avevo avuto. C’era un’atmosfera davvero collaborativa e posso dire che siamo entrambi soddisfatti del risultato.
Public Service Broadcasting – Turn No More ft. James Dean Bradfield – Dir: Steve Glashier
“You + Me” è una canzone davvero molto bella, una sorta di liberazione dopo l’apocalisse. L’inizio tra l’altro, contiene un drumming con una semantica apocalittica, molto simile a quello di “Five Years” di David Bowie…
La scelta di quel drumming era voluta, una sorta di connessione e di elogio della musica di Bowie. La canzone in se stessa è il tentativo di immaginarmi come mi sarei sentito al centro di una famiglia che si trova nel bel mezzo di una tempesta, ovvero determinare la misura in cui le relazioni personali siano in grado di diventare il fondamento di un’azione politica legata allo sciopero e quindi spingerti ad aiutare le persone quando sono diventate oggetto di grande disprezzo.
Dove avete registrato l’album…la location è sempre importante per un documentarista, suppongo quindi che abbiate scelto luoghi vicini all’evento o alle storie raccontate nel disco…
Esattamente. Per questo album abbiamo pensato che fosse davvero importante registrare nell’area stessa che riguarda gli eventi raccontati, e quindi svolgere il tutto con un sentimento più DIY possibile. Abbiamo trovato una grandissima stanza nell’istituto di Ebbw Vale dove abbiamo portato tutta la nostra strumentazione, modificato gli aspetti acustici adattando l’ambiente, per poi registrarci l’intero album.
Public Service Broadcasting – The Making of “Every Valley” – Dir: Richard Crandon
C’è una sequenza narrativa specifica nella vostra discografia? Te lo chiedo perché il nuovo concept mi sembra una conseguenza oscura del precedente (n.d.a. Race for Space)…
Credo sia un ottimo modo di interpretare la questione. Si tratta ancora di un album sul progresso in definitiva, molto simile agli altri due in questo senso, ma prende una deriva totalmente differente quando si mette in relazione con le persone e le comunità che sono state lasciate indietro, sacrificate, in nome del concetto stesso di progresso. È un processo che mi ha profondamente coinvolto per una sentita svolta a sinistra.
Per quanto riguarda i concerti italiani. Nei vostri live l’interazione con le immagini è fondamentale, la voce e tutti gli aspetti narrativi quindi assumono una forma diversa. Puoi raccontarci il vostro set?
Non è comune, lo so, ed è concettualmente molto forte. Si tratta di una sfida coinvolgente dal punto di vista musicale per quello che facciamo sul palco e per il modo in cui cerchiamo di ri-creare la nostra musica. Ecco quindi la dimensione visuale, coinvolgente anche quella, perché montiamo tutti i filmati utilizzati per la ricerca e di cui ci siamo serviti per scrivere la musica. Il risultato è davvero ipnotico!