Mischia gli ambiti, gli stimoli, i mondi creativi. Silvia Calderoni ha sempre preferito il transito alla staticità di un solo luogo specifico. Teatro, moda, cinema, linguaggio politico, cultura Queer e femminismi. Lungi da essere una purista, ha preferito la contaminazione, usando il proprio corpo come strumento potenziale. Allo stesso tempo, la stratificazione esperienziale non è scindibile e si interconnette, ogni volta, nello spazio immaginale in cui il suo corpo si trova a riconfigurare la nozione acquisita di identità e realtà: Teatrino Clandestino, Teatro della Valdoca, Raffaello Sanzio, Masque Teatro, Motus, Fanny & Alexander, le sfilate per Gucci, il grande manifesto della campagna Cheap in via dell’Indipendenza a Bologna.
La “resina” dell’Androgino rende fluido anche il video di Giulia Achenza. La filmmaker di Olbia, ma attiva a Milano, ha specializzato il suo occhio nell’ambito dei fashion film, senza irrigidirlo entro la formula iconologica della distanza. I suoi lavori realizzati per Pucci, Etro, Armani, Marras, trattengono una dinamicità quasi alchemica e un lavoro sul corpo che parte dal contrasto tra luce interiore e impatto con la superficie.
Il corpo irregimentabile di Silvia Calderoni e l’architettura visuale della Achenza, tessono alcuni fili intorno alla decostruzione del mito di Penelope interna alle liriche di Rachele Bastreghi.
Al di là dell’indicazione esplicita nella sezione “spoken” interpretata dalla Calderoni, la diversità intesa come punto di forza innerva un dissidio più ampio tra interiorità e rappresentazione, sole e confusione, margini e mondo.
Ogni elemento figurativo che nel testo ha il compito di infrangere i segni contro la superficie, emerge nella simbologia simultanea del tableaux vivant complessivo.
La contemplazione e il movimento furioso.