Sveliamo subito l’arcano: Dorothy “Dot” Wiggin era la leader, cantante e chitarrista delle Shaggs, band familiare (assieme a lei c’erano le sorelle) passata alla storia come autrice nel 1969 di Philosophy Of The World, quello che viene spesso considerato come il peggior disco della storia del rock, e per questo passato allo status di culto, grazie prima alla pubblicità di Frank Zappa e poi al movimento lo-fi nato con gli Half Japanese.
Ora, a 44 anni di distanza da quella ormai mitologica uscita, Dot ritorna a proporre le sue canzoni grazie all’interessamento di Jesse Krakow (ex Shudder To Think), che è andato a recuperarla e ha creato una band per accompagnarla, e della Alternative Tentacles di Jello Biafra, che fa uscire il risultato di questo inatteso ritorno, intitolato Ready! Get! Go!, con tanto di copertina disegnata da Jad Fair (tanto per chiudere il cerchio con gli Half Japanese).
I brani presenti nell’album sono in parte inediti del periodo Shaggs e in parte nuovi di zecca, con in più una cover di Skeeter Davis, End Of The World. La differenza tra canzoni vecchie e nuove non si vede dal punto di vista della scrittura, il mondo naif e bambinesco di Dot sembra infatti essere rimasto inalterato dalla fine degli anni sessanta ad oggi, mentre per quanto riguarda il suono qualche passo in avanti c’è stato per forza di cose, data la maggior professionalità della backing band moderna. Non ci troviamo comunque ad ascoltare rock iper-prodotto o con sfoggio di tecnica, ma un lo-fi rispettoso della scrittura di Dot, che evita di scadere in una riproposizione del non-suono Shaggs. Una scelta saggia quella fatta da Krakow e compagni, che ci permette di godere al meglio del songwriting della Wiggin, che riesce a trasmettere tutto il suo candore e le sue emozioni con poche frasi semplici ma efficaci, illuminate forse dalla totale assenza di ambizione, che invece bene o male colpisce chiunque scriva canzoni, anche chi professa totale indipendenza e schifo per il mercato.
Si astengano dunque dall’ascolto i fan della tecnica e dei testi poetici e complicati e lascino spazio a chi sa trovare la genialità nella semplicità, quella che ammanta brani come Banana Bike, una tiritera sixties pop che non avrebbe sfigurato nel canzoniere di gruppi come i 1910 Fruitgum Company, Speed Limit, che a modo suo è rock’n’roll californiano, Love At First Sight, ballata in cui la voce di Dot dà il peggio e al tempo stesso il meglio di sé, o Boo Hoo, pezzo dall’atmosfera country con un testo che stempera una delusione amorosa in un boo hoo, appunto. Dot è così, senza sovrastrutture, ed è questo a renderla unica, con o senza la pubblicità di Zappa o di altri.
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