Sarà una bella battaglia quella del 10 dicembre all’Auditorium Flog di Firenze per la finalissima del Rock Contest. Le sei band selezionate sono tutte di altissimo livello. Qualità e varietà; sul palco, insieme a Ros, Manitoba, Handlogic, Handshake, Light Whales ci sono anche i Plateaux.
Nati intorno alle montagne del lago di Como, Nicola e Giacomo suonano insieme da molti anni e condividono una prima esperienza sotto il segno del folk-country statunitense (in particolare, quello di Gram parsons) chiamata “Captain Toke & The Line Oversteppers“. Tra melodie, armonie e uno spiccato senso visionario nascono i Plateaux, che abbandonano totalmente le cover per concentrarsi su una scrittura solidissima, certamente figlia di quelle influenze, ma in modo del tutto originale. A completare l’organico Gospel e Lorenzo.
Il loro nome evoca paesaggi incontaminati e maestosi e il loro spirito è fieramente ancorato a certa musica del passato. Li abbiamo intervistati
Partiamo da un amore dichiarato. Quello per Gram Parsons e l’American Cosmic Music. Da dove nasce?
Nicola: il Country e il Folk americano fanno parte del mio orizzonte musicale da quando sono nato. Gram Parsons ha sdoganato il Country in un certo ambiente (quello della controcultura giovanile degli anni ’60) e lo ha reintrodotto come standard nella cultura Pop americana. Se poi affianco a Gram Parsons metti Emmylou Harris, capisci che è proprio impossibile non innamorarsi. Ecco, io più che altro amo Emmylou Harris che duetta con Gram Parsons.
Pensate che quei suoni e quelle intuizioni siano ancora attuali per dialogare con il grande bacino internazionale dell’alt country?
Giacomo: Il country rimane uno dei tabù più strani della musica pop; nessuno sa veramente cosa sia, ma tutti (o quasi) ne stanno alla larga (salvo poi riciclarne le strutture armoniche). Forse anche solo per questo mi incuriosiva, ma credo siano stati i Byrds i primi a farmelo davvero apprezzare. Gram Parsons, soprattutto con i Flying Burrito Brothers, rende ancora più evidente il nesso con la psichedelia, quella cosa un po’ inafferrabile che ci piace chiamare “Baviera”: tutta la musica che nasce dalle montagne ha in sè qualcosa di cosmico, di spirituale.
Plateaux: la musica e i suoni di Gram Parsons (così come quelli di Dylan, dei Grateful Dead, di The Band, Di Joni Mitchell, dei Byrds) sono eterni, nel senso che saranno sempre attuali, non tanto per il bacino internazionale dell’alt country, di cui, a dire il vero, conosciamo molto poco, quanto per la musica Pop in generale. Le belle melodie, le armonie temperate e gli arrangiamenti curati funzioneranno sempre, finché si faranno dischi.
Cosa è cambiato dalla prima formazione, chiamata “Captain Toke & The Line Oversteppers” e gli attuali Plateaux?
I Captain Toke erano cinque amici che suonavano divinamente insieme pezzi di Neil Young, di The Band, dei Byrds e avevano in repertorio qualche componimento originale (di Nicola e di Stefano Lazzari), ma forse non ancora un’idea di se stessi come “progetto”. Poi uno di questi amici (il pianista Nicholas) è andato in Lussemburgo per lavoro. Con Stefano abbiamo avuto delle differenze di vedute su alcune cose, e il Dallu (chitarrista e autore del riff e della struttura della nostra Grand Armada) si è stufato di suonare. Potevamo mollare, ma ormai Nicola aveva iniziato a scrivere a un ritmo impressionante e insieme a suo fratello Gospel abbiamo tenuto duro. I Plateaux differiscono dai Captain Toke in questo: si pensano e si vivono come progetto musicale in cui non ci si assegna un orizzonte ben definito (countryrock o altro), ma si lasciano tutte le porte aperte.
Il paesaggio è un elemento importante della vostra musica, ci spiegate come mai?
Beh, tanto per cominciare il gruppo è stato concepito tra le montagne vicino al Lago di Como, un luogo a noi caro, in cui ci ritiriamo tutte le volte che ne abbiamo occasione. Amiamo gli spazi aperti, le passeggiate in montagna, i bagni al mare, i cieli stellati d’estate. Ci piace osservare gli stessi paesaggi da diverse prospettive. Ci piacciono libri come Moby Dick e Le Avventure di Huckleberry Finn, dove a spadroneggiare è l’elemento naturale (la Balena e il Fiume). Tra tutte le arti, la musica è forse quella più indicata per cogliere la potenza degli elementi naturali, le visioni che essi possono suscitare, quell’unica costante che li rappresenta: la contraddizione.
C’è molto gospel nelle vostre composizioni, ma questo è abilmente filtrato da una propensione “bianca” e occidentale, per cui si apre ad altre dimensioni della musica corale; come riuscite a fondere i due elementi, emotivamente e in modo creativo?
Beh, Nicola in realtà si chiama Nicola Gospel e suo fratello, il bassista, si chiama Gospel. Al di là di questo, le armonie vocali del Bluegrass, di Crosby, Stills, Nash & Young e ancor prima della tradizione del Canto Gregoriano, offrono ottimi precedenti per una visione della musica corale bianca. Armonia vocale e musica sacra sono elementi indissolubili, diciamo che noi amiamo rivolgerci a divinità più terrene, tipo le ragazze o le stelle nascenti.
E Neil young, vi piace? In alcuni momenti ce l’abbiamo sentito, insieme ai primi American Music Club, quelli appunto più legati alla descrizione sonora del paesaggio….
Neil Young per noi è un punto di riferimento costante e imprescindibile. Ci piace tutto di lui, ogni suo periodo, anche le cose degli anni ’80 che hanno fatto storcere il naso a tanti suoi ammiratori. Il Canada è come la Mecca, per noi: Neil, The Band, Joni Mitchell. Purtroppo gli American Music Club li conosciamo poco, ma approfondiremo senz’altro.
La vostra proposta ci è sembrata sorprendentemente matura e molto vicina alla cultura americana. Capisco che parlare di esportazione nell’immediato possa sembrare prematuro, ma ci avete pensato ad affrontare almeno una porzione del vastissimo mercato statunitense, come hanno fatto altre band italiane, stanche dell’andazzo del paese?
Diciamo che non conosciamo ancora abbastanza bene l’andazzo italiano per poter dire che ne siamo stanchi. Il mercato americano è il motivo per cui a un certo punto decidi di suonare. Sogni sempre di fare come i Beatles e andar là a sbancare tutto. Diciamo che il Canada ci andrebbe anche meglio. Tra dieci anni ci vediamo a Vancouver, o ancor meglio a Winnipeg, a bere Whisky di segale, fare gare di motoslitte coi nipoti di Villeneuve e a rendere grazie alla Dea Canadese della Musica Leggera, la splendida Joni Mitchell.
Facciamo un giochino, quello temibilissimo della torre. La parte più alta è occupata da: Thin White Rope, Love, The Flying Burrito Brothers, Gian Sand, Sufjan Stevens, Neon Indian. C’è spazio per tutti meno che per uno di questi. Chi buttate di sotto e perché? Brevemente ci piacerebbe sapere anche le motivazioni per quelli che rimangono sulla vetta.
Salviamo Love e Flying Burrito Brothers. Arthur Lee, Chris Hillman, Gram Parsons sono motivi sufficienti per spiegare la nostra scelta. Degli altri artisti non abbiamo una conoscenza sufficientemente approfondita. Siamo vecchi. Non ascoltiamo solo roba vecchia, per carità, ma i nostri cuori e le nostre menti sono ormai occupate dai grandi nomi della tradizione. È un nostro limite sul quale stiamo cercando di lavorare.
Giacomo: Una band dei giorni nostri che non avete nominato, i Fleet Foxes, hanno rappresentato per me un punto di riferimento per l’uso delle voci e l’atmosfera, il suono dei loro dischi.
Controradio e il Rock Contest. Al di là della vostra partecipazione, ritenete che una manifestazione come questa possa cambiare propensione e attenzione verso la musica di qualità, al momento scesa sotto un livello accettabile, a causa dei prodotti creati a tavolino per il mercato dei talent?
In Controradio e nel Rock Contest abbiamo trovato un’onestà, una capacità organizzativa e una qualità della giuria e dei progetti in gara che non abbiamo trovato in altri contest (ai quali, difatti, non ci siamo iscritti), questi sono i motivi che ci hanno spinti a iscriverci, motivi confermati dalle nostre due serate (eliminatoria e semifinale). Dovremmo chiederci perché un giovane di 15 anni pensi di rivolgersi principalmente al mercato dei talent. Forse questo dipende da uno scarso interesse per la musica live e per un interesse, al contrario molto acceso, per i prodotti televisivi e per come questi prodotti interagiscono con la musica. Non crediamo che sia un male di per sé stesso il fatto che questi talent esistano, è piuttosto un “male” il fatto che ci sia poco interesse per la musica live. Manifestazioni come Rock Contest offrono qualcosa che i talent non potranno mai offrire: i talent show sono, appunto, degli show e devono seguire un canovaccio, una logica, una scrittura. Sono prodotti che costano un sacco di soldi agli sponsor e alle case di produzione e per questo motivo deve sempre esserci un certo grado di controllo. Il Rock Contest è fuori controllo: nessuno è mai venuto a dirci cosa potevamo o non potevamo fare o dire. Il ragazzino di 15 anni che pensa al mondo dei talent dovrebbe chiedersi questo: quanto sono disposto a farmi dire cosa devo fare, cosa devo dire e cosa devo suonare?
Come vi presenterete sul palco della finale? Formazione e strumenti…
Nicola: voce (ha ancora il dito rotto e non può suonare la chitarra); Giacomo: batteria e voce; Lorenzo: chitarra e voce; Gospel: basso.
Ascolta la musica dei Plateaux sul sito ufficiale del Rock Contest