mercoledì, Dicembre 18, 2024

Rock Contest 2017 – Berg, gli strati della voce e quelli della montagna: l’intervista

Berg è il progetto solista del milanese Luca Nistler. La sua voce, una loop station e un pedale delay. L’elettronica è concretamente assente in termini di rimediazione, ma il suo approccio è un continuo ri-assestamento entro quei confini incerti e mai simmetrici tra natura e tecnologia.
Il suo progetto è un suggestivo esempio creativo, tra raffinatissimi intarsi vocali e beat box, con un equilibrio che gli consente di rimanere nella cornice della forma canzone, consegnandoci così un autore sensibile e assolutamente oltre il virtuosismo fine a se stesso.
Nel suo progetto confluiscono pensiero filosofico e politico, un’attenta riflessione sull’identità di genere e un continuo scambio tra immagine e suono. Nistler è anche un videomaker e per il suo progetto ha potuto contare su una rete di collaborazioni, tra registi e art director di talento.
Il primo Ep pubblicato come Berg è uscito un anno fa, nel novembre 2016, per Sangue Disken e si intitola “Solastalgia“​.

Ne parliamo insieme a lui, in occasione della sua partecipazione alla quarta eliminatoria del Rock Contest Fiorentino, in programma al Glue Alternative Concept Space di Firenze il prossimo 31 ottobre.

Berg – Run live @ BalconyTV

Per consultare tutte le interviste e i contenuti speciali dedicati ai 30 ospiti del rock contest fiorentino, Indie-eye, media partner del festival, ha aperto una sezione specifica da questa parte: Rock Contest 2017, tutti i contenuti 

C’è un’interessante dimensione contrastiva nel tuo lavoro. Da una parte il rapporto intimo con gli aspetti produttivi, ridotti al minimo, tra la tua voce, le periferiche che usi e il beat boxing come prassi. Dall’altra un’attitudine a raccontare una realtà frammentata, mettendo in guardia dall’entropia che stiamo vivendo. Per te è un dissidio quello tra tecnologia e natura, voce e decostruzione della stessa?

Ho sempre avuto un’idea della cultura come qualcosa che ti deve decostruire, come una scultura. Non ho nessun tipo di preconcetto nei confronti della tecnologia e credo che la natura sia un termine un po’ abusato in quanto intriso di “cultura”. Sicuramente non ho la pretesa di fare il Rousseau di turno. Diciamo che in questo lavoro uso “strumenti di lavoro” digitali come il delay e la loop station per poi cercare di approdare a un risultato analogico, ovvero che possa suonare umano. Una specie di passo indietro in qualche modo. Ma con un sapore tutt’altro che nostalgico.

Delay e una loop station. Questi i tuoi “strumenti di lavoro”. Non utilizzi alcun filtro, non post produci la voce, non ti servi di alcun intervento elettronico. Cosa rende la Loop station un oggetto ancora vicino al corpo e alla dimensione fisica, tattile, della voce umana?

Esattamente, Berg è un progetto basato sull’esclusivo utilizzo della sola voce. La loop station è un registratore in tempo reale (in questo caso della mia voce) e il pedale delay crea diversi pattern di eco, che sono, a loro volta, un elemento acustico tipico della montagna. Quello che senti sul palco potrebbe essere stato fatto anche da un gruppo di coristi urbani diciamo. Come già rimarchi nella domanda stessa non ci sono filtri sulla voce e a parte l’elemento del delay è tutto nudo e crudo.

Berg in tedesco significa montagna. Come mai questo moniker?

La montagna è una forma primordiale di confine, un rigonfiamento delle terre dovuto alla frizione tra placche tettoniche. È un luogo di solitudine, ma anche di grande meraviglia.
Il primo EP “Solastalgia”, uscito nel novembre 2016, è per l’appunto un lavoro incentrato sui confini. Confini di genere, politici e ambientali. In quella che può essere vista come una generica “entropia” vedo in realtà un piano regolatore meticolosamente inquietante dettato dai piani alti. Vedo da un lato confini politici tra Stati armarsi e potenziarsi sempre più in una logica anti-migrante, e dall’altro lato “iceberg”, montagne di ghiaccio, che vanno man mano depotenziandosi, sciogliendosi, a causa di un surriscaldamento globale galoppante. Invece di affrontare questo enorme problema, quello del riscaldamento globale, ci chiudiamo a guscio, continuando ad additare “finti nemici”.
Per tornare a noi e alla tua domanda anche la bocca, come la montagna, è un confine, in questo caso del corpo.

Cosa ti accomuna e cosa ti distanzia dal Beat Boxing “Classico”? Se possiamo azzardare un’ipotesi, ci sembra che la dimensione ritmica rimanga sullo sfondo, mentre il tuo interesse si concentra sulla costruzione di architetture pop-contemporanee, più orientate alla solidità della scrittura, che spesso ad alcuni Beat Boxer manca, al di là del virtuosismo.

Sì, non sono esattamente un virtuoso della beat box. Ma non ho l’impressione che sia un elemento che rimane troppo sullo sfondo. Forse, come dici tu, non è qualcosa che deve prevaricare sul resto della composizione. Quello che mi interessa, come giustamente riporti, è di creare delle vere e proprie canzoni, con una precisa direzione. Perché il pericolo della loop station è quello di finire a formare una somma indistinta di parti, una specie di mantra di milioni di voci sovrapposte senza una vera e propria struttura. Per me la sfida sta nel lavorare sulla dinamica, su ritmiche sincopate, sulle armonie vocali, sulle variazioni sul tema, e sui testi ovviamente. Costruire una vera e propria forma canzone per quanto possibile.

Quali sono i tuoi riferimenti in questo senso?

Ho sempre avuto una grande ammirazione nei confronti degli sperimentatori da John de Leo a Beck a James Blake, dai Velvet Underground agli Area a Mykki Blanco, dai Tune Yards ai Tame Impala ad Arca ad album come Yeezus di Kanye West, la lista è lunga. Ci sono tante idee nel senso più puro del termine. E in alcuni casi ci sono anche spiazzanti contaminazioni di generi. La stessa musica di Ray Charles era considerata blasfema ai suoi tempi perché aveva unito gospel, considerata la musica di Dio, e il blues, la musica del diavolo. E poi reputo Bobby McFerrin un vero e proprio capostipite.

Glenn Albrecht descriveva il concetto di “Solastalgia” come uno spossessamento. La violazione di un ambiente conosciuto, ormai irriconoscibile, un concetto che sembra applicare quello di perturbante alle mutazioni climatiche, con tutte le conseguenze sociologiche. Anche il tuo disco ci è sembrato “perturbante” proprio quando instaura un rapporto complesso tra voce e dispositivi elettronici. Qualcosa di famigliare che diventa altro da sè. Cosa ne pensi?

È molto interessante questo tuo parallelismo. In realtà in qualche modo hai ragione. Le mie voci si sommano e diventano qualcosa di altro, seppur sempre legato a uno strumento estremamente personale, ovvero la mia voce. Diciamo che attraverso la loop station posso provare a “clonare” la mia voce, duplicarla, decuplicarla, e fare in modo che queste si leghino tra loro in una qualche forma di armonia. Che per fortuna è un sentimento ben lontano dalla “solastalgia”.

Berg – Run – Dir: Francesco Roma

Il bel video di Francesco Roma realizzato per “Run” procede per ri-mediazioni e strati, è un’elaborazione molto interessante della tua tecnica sul piano visuale. Come hai collaborato con lui?

Esattamente. Francesco Roma ha fatto un lavoro di editing eccelso. Per quanto riguarda il concept del video devo però la mia gratitudine a Elena Petitti di Roreto, una talentuosissima art director, che ha appunto proposto questa tecnica di video arte per rappresentare visivamente il mio modus operandi. Le immagini del video, così come le voci nelle mie canzoni, tendono a sovrapporsi. Con Francesco Roma abbiamo poi affinato questo concetto sia a livello contenutistico sia in modo tale da far coincidere le dinamiche del pezzo con il numero di immagini sovrapposte. Non è stato un lavoro facile.

Berg – Wrong – Dir: Alessandro Palminiello e Gianluca Mingotto

Il video di Wrong invece è un ritratto più intimo, tra luce e colore, e con la relazione diretta tra questi interni gelidi e uno spazio urbano che cambia la sua morfologia in base al movimento e alla danza. Come hai collaborato con i due autori, Alessandro Palminiello e Gianluca Mingotto?

Wrong è un pezzo che parla del confine legato all’identità di genere. Della sua natura liquida. E credo che non ci sia davvero niente di male che sia così. Con Alessandro e Gianluca, art directors dell’agenzia di produzione ComboCut, e grazie al prezioso aiuto dello stylist Gabriel Papi, ci siamo ispirati ai paesaggi ibridi del film Laurence Anyways di Xavier Dolan. Il video vuole raccontare un pochino la sensazione di benessere nello scoprirsi senza preconcetti di sorta, per poi doversi prima o poi rapportare con la specifica società in cui siamo immersi. Come dice Judith Butler l’identità di genere non è una cosa a sé stante, ma ha una natura relazionale. Esiste sempre e solo in rapporto ad un’altra persona.

Sono importanti per te le immagini in rapporto alla tua musica?

Sono un grande amante del cinema. E di lavoro faccio video. Specchiare questi due mondi è un grande stimolo. Anche l’artwork dell’album è una parte visiva importantissima del progetto. Quest’ultimo è stato realizzata dal graphic designer Alberto Martorana: ha la forma di un triangolo bianco e dai due cateti escono le due mezzelune del cd fisico, come una specie di alba dietro un iceberg. Credo che tutto quello che ruoti intorno ai contenuti sia importante. La musica è diciamo il primo strato di sovrastruttura, ma anche gli altri strati (l’artwork, il video, il modo di presentarsi) contribuiscono a dare profondità alle cose dette. Così come per me sono molto importanti le persone con le quali collaboro.

“Solastalgia” ha avuto degli ottimi riscontri da parte della stampa specializzata. Come mai la scelta di partecipare al Rock Contest e cosa ti aspetti da una kermesse storica come questa?

Intanto è stato un grande onore per me essere stato selezionato da questo contest. Ho anche già ascoltato quasi tutti gli altri progetti presenti e devo dire che il livello artistico è altissimo sia per qualità che per varietà di generi. La mia è forse una necessità di confronto. Per esempio per il primo EP ho lavorato su testi e musiche da solo fino a quando non sono approdato allo studio di registrazione Blap Studio dove mi sono potuto relazionare con l’ingegnere del suono Antonio Polidoro, un grandissimo professionista sia sul piano tecnico, sia sul piano della preparazione musicale, sia in termini di tecniche di produzione. Allo stesso modo spero di poter avere degli scambi interessanti con addetti ai lavori o altri progetti musicali all’interno del contest. Prendo questo contest come un gioco fondamentalmente. Dove  mettermi a mia volta in gioco e trovare nuovi stimoli.

Berg, la scheda sul sito ufficiale del Rock Contest 2017

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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