sabato, Novembre 2, 2024

Scisma – Mr Newman è l’uomo circondato dal vuoto: l’intervista con Paolo Benvegnù

Gli Scisma stanno portando su alcuni palchi d’Italia i sei brani di Mr Newman, il loro nuovo Ep appena pubblicato per Woodworm Label e del quale Giulia Bertuzzi ci ha parlato approfonditamente con questa recensione. Insieme ad una re-invenzione del repertorio storico, che Paolo Benvegnù stesso ha definito come assolutamente legata alla percezione dell’istante, la band nata sulle rive del lago di Garda si presenta con una lineup leggermente rinnovata che sarà possibile ammirare negli ultimi tre concerti previsti dopo il debutto bolognese. Oggi 16 ottobre e domani saranno alla Latteria Molloy di Brescia, mentre il 24 ottobre arriveranno a Roma per un live al Monk Club.
Abbiamo raggiunto Paolo Benvegnù via telefono per farci raccontare la genesi di questa ripartenza e tutta l’energia in gioco, che il musicista milanese ci ha assicurato provenire da un momento di assoluta leggerezza condivisa.

Una prima domanda d’obbligo. Quale è stato il processo che vi ha fatto pensare prima ad una re-union degli Scisma e poi alla produzione di un nuovo Ep?

Guarda, ci si è arrivati in modo del tutto inconscio e assolutamente naturale. I Benvegnù erano venuti a fare un concerto a Brescia qualche mese fa e quindi è capitato di vedersi dopo un paio di anni, tenendo conto del fatto che ci eravamo sentiti ma in modo del tutto sporadico. Ci sono sempre stati sorrisi e aperture da parte di ognuno di noi anche ai tempi delle nostre rivoluzioni personali. Di sicuro non erano volati né stracci né piatti. La cosa che è accaduta rientra nell’ordine di una trasformazione di alcune intuizioni: vediamo cosa succede se mettiamo sul piatto nuovi brani. Così è stato ed è avvenuto in modo del tutto gioioso.

E non avete mai avuto dubbi, per esempio, di suscitare la sensazione che potesse essere una delle tante re-union….

A costo di sembrare impopolare ti dico che non abbiamo avuto nessuna paura e nessun timore. In realtà la nostra intenzione è stata quella di cambiare il finale di un film, proprio perché quello degli Scisma si era concluso con una dissolvenza in nero, quasi con il nastro tagliato. In modo del tutto tradizionale e quindi per niente trasgressivo volevamo invece porre la parola fine ad un film nello stile di quelli realizzati da Frank Capra, dove un gruppo di persone abituate a proiettare ogni cosa, capiscono improvvisamente di riuscire a vivere nell’istante. Quindi la partenza è stata prettamente egoistica anche se nella realtà quello che ci è balenato in testa era l’ipotesi di fare alcuni concerti per ringraziare le persone che negli ultimi dieci anni, nonostante l’assenza, ci hanno sentito a loro vicini. Quindi un movimento da un certo punto di vista naturale e da un altro un po’ egoista.

E per quanto riguarda i cambi della lineup, come sono stati scelti?

Giovanni Ferrario suonava con noi dal 1999, era infatti il produttore di Armstrong. Diego De Marco, che abbiamo cercato, non siamo riusciti a trovarlo. È un po’ il nostro Syd Barret e ti giuro, era davvero introvabile. Sappiamo che sta bene, sappiamo che è tutto sotto controllo e che è felice, ma nella realtà non siamo riusciti a contattarlo. Mentre il batterista, Danilo Gallo, fa il ristoratore a Panama, ecco perché Beppe Mondini ha preso il suo posto, portando la sua parte migliore nella stanza dei giochi. Mi rendo conto che sembro il Candide di Voltaire a parlare in questo modo, ma ti assicuro che è stato tutto davvero molto positivo.

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Per quanto riguarda il modo di lavorare nelle canzoni, c’è qualcosa che è cambiato rispetto al passato?

È cambiato, io abito in Etruria e sono sotto la pioggia in questo momento (ride) e sicuramente le nuove tecnologie ci hanno aiutato consentendoci di inviarci pezzi e cose a vicenda. Questo nuovo iter nello scambiarci i provini ha fatto si che le caratteristiche migliori rimanessero identiche ma con la piena consapevolezza della maturazione di ognuno di noi. Tutti insieme quindi mentre abbiamo vissuto uno stato di grazia dove a farla da padrona è stata ed è la leggerezza, quel senso nuovo delle cose rispetto a quel tipo di autoreferenzialità che ci pervadeva forse nel nostro primo periodo.

Quindi perchè un Ep e non un full lenght?

L’idea era quella di scrivere tre o quattro pezzi e basta, semplicemente per vedere cosa avrebbe significato rientrare insieme in studio. Come capita spesso la cosa ci ha preso la mano e ci sembrava che i nuovi brani rappresentassero in pieno il nostro “new deal”. Anche perché si tratta davvero di una revisione dei nostri conti interni, ritrovandoci in leggerezza e sfruttando l’onda di questi brani registrati in modo fresco e veloce, rispetto alle diverse aspettative che ci ponevamo in passato.

Ecco, rispetto al passato sembra che ci sia davvero meno aggressività. È una questione che ha sempre a che vedere con quella leggerezza di cui parlavi?

L’esperienza, in genere, riesce a farti capire il senso dell’aggressività. In realtà quella dei primi Scisma puntava alla conquista dello spazio. Questo spazio, ognuno di noi, in un modo o in un altro, l’abbiamo trovato nei nostri mondi e non è necessariamente invadente rispetto ad altro o agli altri. Per questo è stato divertente ripartire dall’ultimo disco, Armstrong, tirandone le fila e quindi osservando quell’uomo che avevamo prefigurato in un certo modo per arrivare a Mr. Newman. C’è un filo rosso che li collega entrambi. Per esempio se prendi un brano come Darling Darling, questo è un pezzo scanzonato e che riprende Tungsteno a livello tematico, proprio perché in quest’ultimo brano si parlava di solitudine estrema anche se non era percepita così perché era cantato in due lingue e sembrava solare. Darling Darling è simile in questo senso, è infatti cantato allo stesso modo in due lingue, ma a differenza di Tungsteno non spiega il senso della solitudine pensando al mondo quanto a ciascuno di noi. Da un punto di vista semantico quindi potrei dirti che c’è un aspetto molto più meditativo.

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E Mr. Newman?

Mr. Newman parte da un ossimoro: Se Armstrong, l’uomo che calpestando la luna, aveva fatto dimenticare tutta l’aura poetica che circondava il pianeta e il senso dell’altrove, siamo ripartiti da li immaginandoci appunto un uomo dispossessato da questo altrove. Che ci fa quindi sulla terra? È un ossimoro quello di immaginarci un uomo votato al controllo che costruisce macchine e software che a loro volta, progettate appunto per controllare, in abisso controllano il loro stesso fattore. Ci siamo quindi mossi per stigmatizzare il comportamento dell’uomo post-moderno perché nel momento in cui questo supera la filosofia e il culto della personalità oltre a tutto quello che è materialmente superabile, si ritrova il vuoto intorno, e questo vuoto è del tutto pneumatico ed assai pericoloso. Con questo Ep in un certo senso ci siamo travestiti da custodi.

Anche Stelle, stelle, stelle parla della robotizzazione dell’uomo in fondo. Ecco, come ti è venuta in mente la metafora dell’Alligalli per indicare questa automazione?

(ride). Da una piccola considerazione che ho fatto sull’800 e il 900 legata all’uniforme come elemento ambiguo dell’uomo. L’uniforme addosso all’uomo-soldato è qualcosa che viene percepita nella vecchia Europa, dopo la seconda guerra mondiale, come valore negativo e veramente deleterio. Ho sempre pensato però che nell’800 e nel 900 l’uniforme poteva anche fornire un senso preciso al processo identitario delle persone. Penso all’operaio che si mette il camice e diventa specializzato in qualcosa rispetto alle ambizioni e alla forma che l’uomo comune si dà. Quindi se l’uniforma sembra in parte aberrante, da un altro punto di vista salda l’identità in modo più forte, perché se sono un bravo tornitore ed indosso il camice preposto, mi sento perfetto per quel compito. L’identità risulta più salda rispetto ai panni dell’uomo comune che magari svolge un compito non riconosciuto. Quindi da un lato la dualità dell’uniforme, ma anche l’idea che praticare una danza tutti all’unisono e nello stesso modo sia un atto assolutamente aberrante, proprio dal momento in cui la danza la si percepisce come qualcosa di estremamente libero. La parte recitata all’inizio del brano è quindi da intendere come un piccolo gioco grottesco.

Ma le balere della bassa, a proposito di danza, le hai davvero frequentate?

Li per li mi è venuto da imitare Fabrizio Bentivoglio quando parla in brianzolo lentamente. Io non le ho frequentate le balere e a dire il vero molto poco anche le discoteche, ma ne ho sempre percepito il sapore sopratutto all’alba, verso le sei e mezza, quando il sabato sera trascolora nella domenica mattina e questa incombe quasi fosse una punizione. Ecco, in modo semplice ho unito alcuni punti, non necessariamente simmetrici.

 

Da più parti si è provato a far confronti con questo disco e le tue prove soliste. Da questo punto di vista quanto è corretto intendere Mr. Newman come un lavoro in diretta comunicazione con i tuoi ultimi lavori?

Ti dico la sincera verità. Ritengo Mr. Newman qualcosa di completamente diverso per tre motivi. Il primo è che molte di queste melodie le ho pensate con la voce di Sara e questo ha fatto in modo che fossi più leggero nel concepirle. Molte altre mi capita di scriverle più fluentemente e verbosamente, con la consapevolezza che sarò io a cantarle. Interpretarle con Sara fa diventare tutto molto più arioso e leggero. La seconda differenza è che non c’è nessuna proiezione sul futuro. Le frasi che abbiamo corretto insieme, al di là della scrittura primigenia, sono intrise di piccoli segnali relativi ai nostri momenti personali, ma dal punto di vista umano. La terza differenza, dopo tanti anni in cui mi facevo carico di essere il megafono di un progetto specifico, anche in termini di pensiero, sentendoci dentro Paolo Benvegnù, adesso mi sembra che nella lavorazione dell’Ep e nel primo concerto condiviso, il risultato sia frutto di un processo collettivo senza la mia guida specifica. Come se tutti insieme avessimo trovato la via della gioia, per concretizzare proposte che ci siamo fatti reciprocamente.

Scisma – Musica Elementare – Radio Edit

A proposito dei concerti, come è andata quindi la prima data e cosa dobbiamo aspettarci dalle altre.

A Bologna abbiamo percepito grande rispetto da parte del pubblico. Lo abbiamo sentito una volta usciti sul palco, e ci è sembrata una risposta positiva a quello che abbiamo rappresentato. Un rispetto che è cresciuto durante il set, perché non avendo mai pensato ad un concerto Karaoke, ma ad un’esibizione dove i brani anche più vecchi acquisiscono un senso del tutto diverso, questa comunicazione con il pubblico è sfociata in un concerto assolutamente contemporaneo. Siamo stati sorpresi e contenti di questa cosa, e quello che mi è piaciuto al di là delle note suonate e dei nostri corpi in gioco, è stato tutto quello che è successo prima e appena dopo il concerto stesso, ovvero nei momenti di pausa dove abbiamo trovato una complicità libera e felice che era preclusa nel passato, quando appunto puntavamo ad altri obiettivi. È stato quindi un ritrovarsi e riconquistarsi senza quel desiderio di seduzione che era un nostro tratto preciso nei confronti del pubblico.

Questo progetto andrà avanti? voglio dire, arriverà un disco sulla lunga distanza? Arriveranno altre date considerato che ci restituisci un’immagine bella e positiva di questa esperienza…

Paradossalmente non ne abbiamo parlato. Non c’è un discorso che punta verso il futuro. Siamo davvero concentrati sul momento, come se avessimo capito quanto sia difficile non avere nostalgia del passato. Nessuna proiezione del futuro quindi, amare sopratutto quello che abbiamo in questo istante. Sono sincero quando ti dico che non so cosa succederà perché ognuno di noi ancora non lo ha pensato. A qualcuno di noi capiterà di dire qualcosa alla fine del breve tour, ne sono sicuro, ma per ora non posso dare alcun indirizzo preciso.

Nei novanta avevate tre ragazze in organico. Anche adesso è così. Era ed è un punto di differenziazione rispetto ad una scena che è quasi sempre declinata al maschile?

Quello che abbiamo vissuto all’epoca e che viviamo adesso è un tratto certamente distintivo e di diversificazione rispetto alla formazione canonica di una band. Anche perché l’approccio è quello famigliare. Siamo davvero come una famiglia, perdonami se sono poco trasgressivo nel dire questo ma per noi Scisma è come una famiglia di fratelli e sorelle. Suonare con tre donne ha un valore quasi misterico. È come sentirsi nudi tutti insieme sul palco, ma è una sensazione che ha poco a che vedere con la forza e molto di più con la volontà di abbracciare. È una cosa che posso dire con grande tranquillità e sincerità. Non siamo mai stati un gruppo generazionale e per certi versi eravamo il paradosso vivente di un gruppo dalle attitudini gentili dove molti altri erano assolutamente aggressivi.

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Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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