Second life è il video più personale e intenso di Beatrice Antolini. Lo ha realizzato da sola e può essere considerato come un compagno inscindibile del brano che ha lanciato attraverso “La tempesta”, non solo per i temi e le riflessioni che innesca, ma anche per la prassi creativa connessa.
Abbiamo chiesto direttamente a Beatrice di parlarcene e oltre ad un racconto dettagliato del making of, è emersa a poco a poco un’attitudine artigianale, nel senso più nobile del termine, che ci descrive una Beatrice Antolini intenta a “visualizzare” ogni elemento della sua musica, anche con l’aiuto di strumenti apparentemente distanti dalla stessa, come il disegno.
In termini di risultati, il video di “Second Life” è molto lontano dall’estetica DIY di chi sceglie una strada autarchica. E ben illuminato, è montato con un’eccellente attenzione al ritmo e al contrasto tra piani della visione, è in definitiva un autoritratto d’autore attentissimo alle sfumature, realizzato con il coraggio di chi non ha paura di mettersi in gioco, per trasformarsi in “segno” e “corpo” universali.
Innanzitutto complimenti Beatrice, il brano e il video sono molto belli e si integrano perfettamente. Hai realizzato il video da sola, come mai questa esigenza?
Ciao Michele è un piacere ritrovarti, vorrei dire come prima cosa che sono molto legata ad indie-eye perché siete stati tra i primi a darmi spazio e credibilità girando per me un bellissimo livecastour nel lontano 2008 in occasione dell’uscita del mio disco “Adue” che è e sarà sempre un bellissimo documento che porto nel cuore.
Grazie mille per i complimenti, ti racconto com’è andata!
Sono ormai un paio d’anni che ho iniziato a montare video per mio piacere personale e ho scoperto che mi piace molto e mi interessa, in realtà l’avevo già fatto per alcuni esami che ho dovuto sostenere quando studiavo all’Accademia, sono infatti laureata in progettazione artistica e volevo mettermi alla prova; il brano mi sembrava adatto a quest’esperimento. Avendo prodotto musicalmente il brano, ed essendo un pezzo molto ritmico, ho pensato subito ad un montaggio appunto molto ritmico e sincopato e magari questo sarebbe stato impossibile da comunicare e spiegare ad una persona esterna, per questo ho deciso di farlo io.
Dove lo hai girato?
L’ho girato in casa mia nel mio home-studio.
È stato difficile mettersi in scena, nel senso di guardarsi, definirsi, gestire un’immagine allo specchio..
Non è stato difficile perché avevo tutto in testa e ho realizzato diciamo l’80% di quello che avevo immaginato, alcune cose sono sfuggite e ho commesso alcuni errori tecnici ma è normale non essendo una regista, ma posso dire che l’immaginario del video è quello giusto ed alla fine è il mio video più autentico. Vorrei anche citare chi mi ha aiutato ovvero Dorothy Bhawl alla fotografia e Giuseppe Lanno al colour grading.
Ci sono due versioni di Beatrice nel video. Quella che appare come un’interferenza è coperta da caratteri ASCII , emoticons, segni della comunicazione non verbale del mondo digitale, proprio quella che ha sostituito il corpo. Al contrario il video mette al centro quest’ultimo anche con i movimenti della danza, quasi una possessione. Che tipo di contrasto tra i segni e la tua immagine volevi rappresentare?
Il video cerca di rappresentare il concetto che sta dietro al brano e al testo. Second life parla di una seconda vita, può essere spiegato a due livelli di lettura. Il primo è proprio semplice, ovvero un farsi delle domande su come potrebbe essere una seconda vita, cosa si cambierebbe rispetto a questa che si ha ora, interrogarsi sulle proprie debolezze e paure e cercare di superarle. Il secondo livello invece è più complesso, second life è anche una realtà parallela, quella che viviamo oggi anche con i social e i caratteri ascii o emoticons non sono altro che le nostre emozioni surrogate, ormai minimali, senza sfumature, bold come il carattere, solide e geroglifiche. Una specie di marchio, infatti sono dei tatuaggi che mai potranno cancellarsi.La danza è la lotta tra questa realtà virtuale e surrogata e la vita reale . La lotta per poter di nuovo provare emozioni spontanee variopinte ed indefinibili e quindi “umane”.
Il montaggio ha una forma sinestetica davvero molto potente. A vari livelli. I glitch, le interferenze e anche i salti dal primo piano al corpo che si muove hanno una consistenza fisica che segue la struttura del brano. Con quale spirito ti sei avvicinata al montaggio?
Ho agito ascoltando la musica, ho cercato di associare le due cose come se fossero una. Il movimento e alcuni elementi musicali diventano una cosa unica, una sintesi. Io divento strumento virtuale. Come un sintetizzatore o una drum machine. Io sono dentro ad un mac, non c’è un luogo , io ballo in un non-luogo.
Per il video c’era uno storyboard, una sceneggiatura oppure ti sei affidata all’istinto?
No assolutamente! Tutto deciso e organizzato, addirittura mi sono fatta aiutare da una bravissima coreografa di Bologna che si chiama Elisa Pagani, spiegandole appunto il tipo di movimento che volevo rappresentare. In realtà c’è stata molta preparazione anche tecnica, ho acquistato del materiale , ho deciso ogni dettaglio. Io mi scrivo e disegno tutto, a volte addirittura i mix dei pezzi in una forma tridimensionale/circolare (ne ho di bellissimi di Adue) come realizzare le foto, disegno i look da indossare, cerco oggetti ed accessori…..non sono sfaticata insomma!
Girerai altri video in futuro?
Penso proprio di si e non vedo l’ora. per adesso ne ho uno in mente, molto horror psicologico.