I Self-Evident sono un trio da Minneapolis attivo da almeno una ventina d’anni. La Doubleplusgood Records, che è la stessa etichetta di The Bronzed Chorus, ha deciso di promuovere nuovamente due album della band, pubblicati un po’ di tempo fa. I Self-evident infatti, nell’aprile 2017 accompagneranno in tour Adam Joyce e Hunter Allen, e probabilmente recupereranno un intervallo abbastanza ampio legato alla loro carriera.
Mentre We Built a Fortress on Short Notice risale al 2012, The Traveler raccoglie una serie di brani registrati tra il 2002 e il 2009 e sistemati ulteriormente nel 2015.
Entrambi hanno in comune il lavoro con Carl Amburn, loro ingegnere del suono fin dal 2002, ma anche una sorprendente maturità fin dalle origini del loro suono. We Built a Fortress on Short Notice mostra chiari riferimenti a quel post hardcore evolutosi attraverso etichette come Dischord e più tardi Touch & Go, ma per ragioni del tutto incidentali, non è mai uscito fuori dagli states e non ha mai avuto un’adeguata promozione in europa.
Il lungo apprendistato della band ha consentito di assimilare alcune stagioni del rock in tempi non sospetti e che ancora resiste in una dimensione cultuale anche attraverso l’affetto e l’attenzione, spesso tardiva, che questo tipo di suoni ha avuto nella vecchia Europa.
We Built a Fortress on Short Notice è una raccolta solidissima di canzoni che si muovono tra Firehose, Cursive, Metroschifter, con alcune derive che ricordano la maggiore durezza degli Shellac, ma senza aderire all’ossessiva durezza del rock à la Steve Albini, la propensione è quindi maggiormente drammatica e romantica, grazie anche alla voce di Conrad Mach, e al metodo più classico e “roots” con cui sono scritti i brani.
Sorprende la tendenza a fratturare il suono (straordinaria una traccia come Rumors) pur mantenendo una direzione molto precisa nella scrittura; viene in mente il Jazz elettrico e implicito dei primi Karate, che per Conrad Mach sono sicuramente un faro che illumina il suo songwriting.
In questo senso, The Traveler aveva già tutti questi elementi ben delineati e non risente affatto del lungo periodo di gestazione in cui si è sviluppato, probabilmente anche per le rielaborazioni e le revisioni, tutte risalenti al 2015.
Ci si innamora di tracce come A new Way, dolorosa e potentissima ballata alla Geoff Farina, oppure della successiva Loaded Down With Static, brano che non avrebbe sfigurato in una delle migliori raccolte di Scott Ritcher. Da questo punto di vista, mentre We Built a Fortress on Short Notice è un album più dilatato e riflessivo, The Traveler ha la stessa dinamicità spettacolare e coesione di album come In Place of Real Insight, da cui desume forza e originalità, senza mai dare tregua lungo tutti gli otto brani che lo costituiscono.
I Self-evident sono assolutamente una band rarissima, pur se fieramente ancorata agli anni novanta, e meritano molto più di un recupero attento.
Aspettiamo di vederli dal vivo
Self-Evident live – We Built A Fortress On Short Notice, live