“Matter of time” è uscito lo scorso 16 novembre ed è un disco “raro” nel panorama italiano odierno. Nato dall’incontro tra il compositore e produttore Jazz Kekko Fornarelli e il cantante Roberto Cherillo, mette insieme molte suggestioni, definendosi a poco a poco come un’esperienza eminentemente Europea e Internazionale. I richiami sono moltissimi, ma vengono elaborati secondo un procedimento che fa della contaminazione un linguaggio, personale ed emotivo. Pianoforte, elettronica e voce creano un amalgama evocativo di vera bellezza.
Ad accompagnare il progetto pubblicato per Eskape/IRD, il video di “All these things” realizzato da Max Ruggiero, parte della barese Oz Film, fucina creativa attivissima in terra pugliese nello sviluppo di linguaggi e prodotti audiovisivi.
Per conoscere da vicino il progetto e le fasi di realizzazione del videoclip, abbiamo intervistato Fornarelli e Ruggiero.
Shine – All these things, il videoclip – Dir: Max Ruggiero
Kekko, raccontaci la genesi produttiva del video. Sappiamo che è uno sforzo congiunto tutto Barese, che ha coinvolto più di una realtà oltre l’Apulia Film Commission e il tuo contributo fondamentale in veste di produttore insieme a Francesco Lopez. Come avete messo insieme le forze e come siete arrivati a collaborare con Max Ruggiero?
Erano tanti anni che desideravo realizzare un videoclip di un mio brano: non un semplice video del solito live con i soliti musicisti impegnati nella performance live o non, ma un vero e proprio film. L’occasione è finalmente giunta con l’album degli Shine. Questo soprattutto grazie al supporto di Puglia Sounds, realtà che da tanti anni ormai supporta me, come tanti altri artisti pugliesi, nella realizzazione di tanti progetti, tra produzioni e tour. Io, da produttore e discografico dell’album – oltre che compositore e musicista di Shine – ho inizialmente coinvolto ben 5 diversi registi e case di produzione cinematografica, in tutta Italia, facendo loro ascoltare il singolo che io e Roberto Cherillo avevamo individuato come soggetto per il video, lasciando loro carta bianca sullo script. Quello di Max Ruggiero, tra tutti, ci ha conquistati immediatamente e, da lì, non ho avuto nessun dubbio. E’ stato poi bello accogliere l’entusiasmo di Francesco Lopez e della Oz Film, colpiti a loro volta dalla nostra musica, e condividere assieme a lui l’intera produzione del video. E’ diventato uno sforzo congiunto tutto barese, si: é accaduto tutto per scelte di pancia, oltre che di qualità, e ne sono felicissimo ed orgoglioso.
Max il soggetto e la regia del video sono tuoi. Abbiamo una curiosità prima di approfondire: sei forse partito, come suggestione iniziale, da un’episodio di Ai confini della realtà del 1960 intitolato “The After Hours” (Ore Perdute), dove il manichino di un grande magazzino, prende vita per alcune ore all’anno, prima di tornare alla sua immutabile condizione?
No, Ai confini della realtà mi manca. (N.d.r. Ore Perdute, The After Hours). Può sembrare ovvia come risposta ma la suggestione iniziale è partita proprio dalla splendida musica di Kekko e dall’incantevole voce di Roberto. Il brano è stupendo. Mi sono fatto un giro per la città, ho ascoltato il brano più e più volte, guardavo le persone, le loro azioni, le loro intenzioni, ma non bastavano. Le vetrine mi hanno ispirato. Vedevo i manichini impeccabili, finti ma carichi di umanità repressa, la simulazione di qualcosa di vero, li vedevo tendersi l’uno verso l’altro, senza riuscire a toccarsi. Il brano mi sembrava parlasse di un amore-oltre, un sentimento che supera l’umano, rimanendo immutabile, perfetto ma, allo stesso tempo, assente, stagnante. Allora la musica accompagna lo sforzo verso l’umanità, la natura si cristallizza, ma il mondo, con le sue regole, rimane spietato e la sorte di chi ci prova è segnata. Ma pare ne valga la pena.
Max il tuo video ha una forte connotazione astratta e allo stesso tempo penetra gli aspetti più concreti del design e dell’urbanistica. Come mai hai voluto giocare su questo contrasto tra spazi e oggetti?
Se i personaggi sono manichini gli ambienti diventano vetrine. Le location assumono un carattere quasi impersonale, controllato e simbolico. Il video è girato interamente a Bari, ma c’è la chiara volontà di non rendere la città riconoscibile. Si è voluto indagare sulle periferie e sull’architettura della città, cercando forme, geometrie. Gli sfondi appaiono parte degli oggetti che contengono e viceversa. I caratteri della città sono basati sui topos urbani dai significati sospesi: lo stato, l’immigrazione, la chiesa, il lavoro, il divertimento, la stasi. In ciascuno degli scenari risiede una storia, in disequilibrio tra apparenza e volontà di espressione, tra ciò che risultano per quello che sono e ciò che nascondono senza riuscire a dirlo esplicitamente.
Max, ci racconti il concept del video e come lo hai legato eventualmente a quello del brano e dell’album degli Shine?
All these things é un videoclip dalla natura narrativa di un cortometraggio. Il contesto é quello di un immaginario distopico, l’estetica del film é vicina agli spot di moda, dove tutto è fermo ed è la camera a imporre il movimento. L’idea nasce dall’impianto musicale che attraversa un universo sonoro che mostra uno spirito di ricerca, una rielaborazione della materia, una chiara tensione verso una cifra stilistica personale. Così il concept del video vuole indagare una sensibilità tormentata, concedendosi di immergersi in un simbiotico immaginario, dove tutto è apparentemente senza vita, ma dove nel profondo c’è qualcosa che si muove. Una sorta di metafora e critica della contemporaneità, soggetta all’isolamento, all’appiattimento dell’emotività, puntando al finale dove l’umanità prende il sopravvento, esplodendo e continuando a fingere: dietro una vetrina dove l’apparenza trionfa ancora, dove sorridere diventa un obbligo. Tutte queste cose.
Kekko, Il video di “All these things” dialoga perfettamente con la rarefazione della vostra musica. Che cosa ne pensi e soprattutto, considerata la cura e la dedizione che avete messo nel progetto, mi sembra che le immagini abbiano un ruolo specifico nel lavoro degli Shine…
Ho sempre scritto la mia musica partendo da suggestioni visive; anche, e soprattutto, nei miei concept album strumentali, da “Room of Mirrors” (2011) all’ultimo nato “Abaton” (2018), ho sempre cercato di raccontare storie, realizzando brani che fossero quasi colonne sonore di suggestioni, istantanee, emozioni vissute nella mia vita, di uomo e di musicista.
L’incontro con Roberto Cherillo, anch’egli vicino a questo mio “approccio visivo” con la musica, è stata la ciliegina sulla torta.. dandomi la possibilità di unire una chiave di lettura in più, con i suoi testi, con le sue storie, nonché con la sua splendida voce.
Quindi, assolutamente sì, le immagini sono il fulcro da cui i nostri brani prendono vita.
I videoclip nel nostro paese sono ancora tristemente considerati un veicolo di secondo grado per la musica, questo per colpa di promozioni miopi e di una stampa che non offre lo spazio necessario per instaurare un dialogo con i creativi. Che cosa ne pensate?
Mi piace guardare i videoclip d’autore. Quando nel concept c’è la volontà di interpretare la musica, empatizzarla, farla propria attraverso le immagini: si tratta di veicolare senza invadere. Credo che la musica abbia la priorità, ma se il video riesce a raggiungere una sorta di forma di unione, integrando la parte di quel immaginario sonoro a un viaggio visuale, si ottiene qualcosa in più: un valore aggiunto. Spesso, parlando di videoclip, si tratta di promuovere il brano, l’album, ottenere visualizzazioni, condivisioni, i famosi sei secondi di attenzione medi dell’utente. Ma ciò non importa, se il brano piace, il video può essere anche solo un cane che corre in slow-motion su una spiaggia. Ma da eterno sognatore credo nelle idee, nella sperimentazione e in chi si dedica.
L’aspetto più triste, secondo me, oggi sta nel fatto che tutto viene realizzato perchè funzionale a qualcosa, o perchè “tutti fanno così”. C’è sempre meno occasione di imbattersi in produzioni di opere vere, vive, che urlino di un’urgenza espressiva, semplicemente. In Italia, poi, nonostante la concentrazione di talenti puri in ogni possibile ambito artistico, il silenzio è assordante. Colpa di noi artisti? No. Non ho remore nel dire che la responsabilità è dei media che, rispetto al passato, non hanno uno sguardo attento su tutto ciò che la nostra terra ha da offrire e produce Paradossalmente, infine, in un mondo musicale che diventa sempre più video, piuttosto che audio, l’avvento dei Social – con le sue proposte “fast food” da “one minute at least”- non da mai abbastanza tempo, per raccontare davvero qualcosa. Mi piacerebbe avere una dannata macchina del tempo e catapultarmi indietro di 40 anni…
Max, oltre al tuo lavoro per la Ozfilm, sei co-fondatore di Inuit, un’associazione che unisce amore per l’audiovisivo ad una missione importante. Puoi raccontarci di cosa si tratta?
Inuit è un associazione nata con l’intento di mettere a disposizione lo strumento audio-visuale nelle mani di comunità, o individui, appartenenti alle cosiddette minoranze sociali. Ci siamo occupati di organizzare laboratori, workshop formativi per offrire la possibilità di formarsi all’uso etico e al ruolo emancipativo del mezzo video. Il nostro fine è di ribaltare il meccanismo, portando all’attenzione del pubblico le storie, attraverso un racconto espresso in prima persona, l’autorappresentazione non filtrata dalla visione stereotipata di un qualsiasi osservatore esterno che inevitabilmente porta con se. Abbiamo avuto modo anche di lavorare con World Press Photo, ed è stata un’esperienza molto bella.
Kekko, “Matter of time” è un progetto davvero apolide, nella concezione e nello spirito. Le contaminazioni sono numerose, dal Jazz, al trip-hop, passando per l’ambient e le suggestioni nordeuropee. Come mai avete scelte Instanbul per presentare il disco?
In realtà il tour sarebbe dovuto partire con il tour promozionale in Italia, agli inizi di novembre, non fosse stato per un’improvvisa appendicite che ha bloccato Roberto Cherillo ad una settimana dall’inizio del tour e ci ha costretti a rimandarne l’inizio. Le date italiane son state poi spostate nella seconda metà di novembre (abbiamo attraversato 8 città italiane, da nord a sud) e ci siamo quindi ritrovati ad aprire le danze con il concerto previsto il 12 novembre a Istanbul: città che, oltre ad avermi accolto ben 4 volte negli ultimi anni, è anche base della booking-agency che segue già Shine worldwide.
Kekko, quanto è presente e importante la cultura delle tue radici in “Matter of time”?
Non saprei dirlo con esattezza. Sicuramente, scrivendo musica, è inevitabile che tutte le esperienze fatte in vita vengano fuori, includendo suoni e colori della terra in cui sono nato ed in cui ho scelto di tornare e poi restare. Ma è anche vero che son nato con la musica classica, amandone i compositori mitteleuropei e russi; son passato poi al rock da teenager, amandone i britannici e gli americani; son finito infine al jazz, adorandone i nordeuropei. Ecco, mescolando tutto questo, ne vien fuori un “crossover mediterraneo”, probabilmente. E non posso non considerare Roberto: “Matter of Time” è scritto a quattro mani con lui, anche se musicalmente ha moltissimo di me, ed anche se l’affinità artistica e culturale – lui è calabrese, io pugliese – tra noi è enorme. Questo per dire che… a volte, le nostre radici, siano esse di terra o di cuore, sono sempre presenti in tutto ciò che produciamo; resta però il fatto che è la necessità di raccontare una determinata storia, o di esprimere un qualcosa di specifico, a farci prendere la direzione artistica finale.
Max, la OZ Film è una realtà feconda e lanciatissima in numerosi ambiti che riguardano il cinema. Puoi raccontarci del tuo coinvolgimento specifico?
OZ Film è una vera e propria factory del cinema pugliese. Ci occupiamo di Service cinematografici per diverse produzioni che decidono di venire in Puglia a girare. Nel tempo sono cresciuto all’interno toccando un po’ tutti i ruoli da assistente casting, location, aiuto-regia e montatore. Nello specifico, ora mi sto sempre più occupando delle produzioni nostre. Sto seguendo come Line Producer un documentario su San Nicola nel mondo, diretto da Antonio Palumbo. Intanto giro e monto video che ci vengono commissionati cercando di metterci sempre qualcosa di mio. Scriviamo progetti e partecipiamo ai bandi nella speranza e la convinzione di vincerne presto qualcuno.
Max, tra documentario, videoclip e cinema di finzione, quale forma preferisci?
Si tratta di linguaggi molto diversi tra loro, che richiedono un approccio molto differente. Preferisco, a prescindere da che cosa si tratta, ricordarsi di mantenere una forma stilistica che abbia una direzione riconoscibile e propria, la continua ricerca di un proprio tratto distintivo. Probabilmente il cinema di finzione potrebbe raccogliere le altre due forme e farle proprie. Mi verrebbe da rispondere la scrittura.
Kekko, “All these things” avrà un seguito, ovvero, produrrai altri video tratti da “Matter of time”?
Mi piacerebbe aver tanti di quei soldi per regalare una vera “vita visuale” ad ognuno dei brani, sia di “Matter of Time” che di tutti gli altri miei album. Ecco, “All These Things” è stato un bellissimo incipit. Ed ho sicuramente voglia di non fermarmi qui..
[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”ff3300″ class=”” size=””]Indie-eye è una rivista online di Cinema e Immagini per la musica. Indie-eye è la prima testata italiana giornalistica regolare ad occuparsi in modo esclusivo di videoclip dalla parte di chi li realizza. Il portale videoclip si integra con il portale Cinema, raccontando tecniche, linguaggi e ibridazioni, con il coinvolgimento diretto dei creativi e di tutte quelle figure che si muovono intorno alla produzione di un video musicale. Attiva dal 2005 la testata in tutti questi anni ha intervistato e coinvolto numerosi creativi, registi, musicisti, realizzando interviste tradizionali, podcast, video report e veri e propri documentari legati all’esperienza e alla prassi creative.[/perfectpullquote]