Non è parente di Johnny Marr l’Andrew di cui stiamo per parlare e questo anche se il pop dei suoi Ski Lodge a tratti suona abbastanza vicino ai racconti di Morrisey con una vena indubbiamente più zuccherosa e power-pop.
È uscito il 20 agosto il primo full lenght del quartetto Newyorchese intitolato Big Heart, la band dopo una vita precedente come The Clementines e un Ep realizzato con il nuovo moniker sempre per Dovecote Records arriva al primo effettivo album sulla lunga distanza mescolando la malinconia Morriseyana di cui si parlava con un impatto chitarristico “jangly” tra l’afro-beat contaminato con il pop bianco e alcune reminescenze del Paul Simon di Graceland, anche se l’impatto è decisamente elettrico e a livello di economia dei brani ricorda molto più da vicino la filosofia compositiva di Jonathan Richman e la propensione a raccontar piccole storie immediate, personali, dinamicizzate ed esaltate da un sound che cerca in modo insistente una certa ballabilità a sostegno dell’insieme, come contrasto alla malinconia della voce di Marr e ai testi delle sue canzoni, quasi tutti incentrati su rotture, separazioni amorose, solitudine post-adolescenziale (Andrew ha 26 anni), differenza di vedute con il padre e altri problemi con la serotonina.
Big Heart è scritto interamente da Andrew (testi e musica); prodotto da Lewis Pesacov (Best Coast, Fool’s Gold) a Los Angeles,risente in qualche modo dell’influenza californiana premendo proprio sull’aspetto più solare, si prendano a questo proposito brani come You can’t Just stop being cruel, Dragging Me to hell, l’indiavolata I Always thought e Just be like you, tutte oscillanti tra la tendenza alla malinconia di Marr e una sostenuta solarità pop al gusto di zucchero filato, un contrasto meno superficiale di quel che sembra.
A questo proposito, il primo video realizzato dalla band è Boy, lanciato a fine luglio per promuovere l’album; nella clip un gruppo di ragazzi cazzeggiano per un intero pomeriggio estivo, ma la realtà assume presto tratti surreali e deformanti; apparentemente racconta un’atmosfera da sogno tra visioni drogate, epifanie femminili, e una vera e propria caccia alle nuvole, ma a guardar meglio tra i colori “caramella”, nasconde un retrogusto amaro, con una sequenza conclusiva tra il demenziale e l’horror davvero geniale e degna dei fratelli Farrelly, segno di un progetto che si muove agevolmente tra causticità e apparente disimpegno pop.