Probabile che il connubio Skom / Cinepila per il bellissimo video diretto da Giovanni Tomaselli, lo si debba anche alle connessioni che attraverso Massimiliano Larocca hanno consentito l’attiva presenza fiorentina di Cesare Basile. L’associazione “La chute” che organizza eventi nella città di Dante, fuori dai consueti circuiti dell’intrattenimento smart, ha ospitato più volte il “cantastorie” catanese, compresa la data con l’opening act di Simona Norato che abbiamo filmato da questa parte, intervista inclusa.
Tomaselli e il collettivo Cinepila sono stati ospiti di indie-eye per la preview del video Cirasa Di Jinnaru, brano estratto dall’album “U fujutu su nesci chi fa?”.
Non a caso il video di “Nuddu Ca Veni“, ri-scrittura siciliana dell’episodio Omerico di Polifemo curata da Simona Norato, è stato presentato in anteprima proprio ieri, 1 Febbraio al Circolo Il Progresso di Firenze in seno all’iniziativa “Firenze per Welcoming Europe”, ospitata proprio dall’associazione “La Chute” di Larocca.
Lo stile di Tomaselli è lontano anni luce dal “mercato” coevo dei videoclip, spesso congelato negativamente a venti anni fa, per scelte promozionali incomprensibili, molto vicine in realtà all’ipnosi politica che abbiamo vissuto negli ultimi venti anni. Al contrario, il collettivo Cinepila, adotta un linguaggio personale, più vicino al Cinema e al teatro di ricerca, stabilendo una relazione viva e dialettica con le liriche e i suoni di un brano.
“Nuddu Ca Veni“, nel suo complesso, si interroga con sorprendente stratificazione sul contrasto tra mito e nuove tecnologie. Prima ancora della connessione con la realtà geopolitica, nella scansione ritmica e melodica del siciliano, è vivissima la conservazione di un linguaggio arcaico fatto di segni e riferimenti ad una cultura apolide, costituita da numerose contaminazioni.
Ad anticipare la musica, l’immagine e la parola, nei primi secondi del video sono l’orizzonte possibile del mare e la presenza dell’acqua amplificata dal lavoro di sound design.
La combinazione di questi elementi, tra pattern elettronici e il corpo di un ragazzo africano sospeso in un cono di luce, evidenzia i dettagli, le gocce d’acqua e una scelta di lavorare sulla dimensione essenziale dei segni. Difficile non scorgere sin dall’inizio una relazione precisa tra ritmo dell’immagine e musica, affrontata senza la consueta frammentazione autoptica del montaggio, ma all’interno dell’inquadratura stessa.
Una scelta che con le dovute differenze legate al formato e alla tipologia, ricorda quel passaggio tra spazio teatrale e spazio cinematografico nel cinema di Alain Cavalier, Pedro Costa, Peter Brook, dove il punto di vista imposta tutte le possibilità. Proprio dal “nero” che inghiotte le porzioni visibili dell’immagine, Giovanni Tomaselli trasforma lo spazio sottoponendolo al continuo affondare ed emergere dei corpi.
Si manifesta una realtà conosciuta, quella dei migranti che attraversano le acque perdendo la vita, quella dei salvataggi mediati dalla comunicazione di massa.
L’attore Mansour Gueye, cosi vicino somaticamente ai tratti di Isaach De Bankolé, attraversa il confine tra la vita e la morte, rappresentato dai segni delle maschere rituali che improvvisamente diventano agenti del contagio, nemesi di una cultura respinta, ma che diventa parte di quelle stesse terre dove il principio di dominazione di Ulisse afferma la sua superiorità sullo storpio Polifemo: pastore secluso, ingannato, solitario.
Un rovesciamento del mito che sarebbe un errore descrivere con il solito apparato critico che ricorre al termine “surreale”, perché non riconoscerebbe i segni di una cultura “altra”, come parte vivissima della propria formazione; unico vero antidoto alla pulizia etnica e interiore dell’odio.
Se scienza e tecnologia hanno sradicato tutte le mitologie, distruggendone la funzione primaria a sostegno di un ordine morale e culturale complesso, più vicino a fenomeni della terra di quanto si creda, Tomaselli interpreta la lettura eretica di SKoM e Norato con quel processo di rifigurazione delle immagini e del loro significato, sotteso dal montaggio.
Se la consecutio temporale non è quella della “realtà più reale del reale” sbattuta in faccia ogni giorno dai mezzi di comunicazione di massa, dagli smartphone, dalla rete tribale e violenta, dalle narrazioni politiche e professionali, dalle delegittimazioni tra colleghi e e vicini di casa, è allora la realtà del mito che dovremmo interrogare come elemento che dall’esterno, penetra l’interno senza alcuna soluzione di continuità. Il video di “Nuddu Ca Veni” compie questo piccolo miracolo con la libertà che l’interpretazione dei segni ci consente.
Tomaselli si conferma come uno degli autori più acuti e vivi di questa forma breve ancora chiamata videoclip, perché ne eccede i confini, trasformandola pasolinianamente, in uno strumento del linguaggio di poesia.