Ingannevole è l’elettronica sopra ogni cosa. Una volta che la si conosce, uscirne è quanto di più difficile. Lei ammalia e avviluppa creando ragnatele cupe e leggiadre, giocando sui toni lo-fi spingendo i pensieri giù giù in fondo dove poi, alla fine, non si sente più niente.
Molti incappano in questo territorio lattiginoso etereo compresi Snow in Damascus!. Nati e cresciuti a Città di Castello, la formazione risale al 2011 e oggi vede attivi Gianluca Franchi (voce e chitarra), Giorgia Fanelli (voce e percussioni), Michele Mandrelli (sintetizzatore e voce), Matteo Bianchini (basso e clarinetto) e Ciro Fiorucci (batteria). Dylar, questo il nome scelto per l’album d’esordio, si rifà in modo più che esplicito ad un passaggio contenuto nel racconto di Don DeLillo dal titolo Rumore in Bianco.
Dylar, un termine meticcio che su indicazione dello stesso DeLillo ibrida al proprio interno i significati di muori e ridi contemporaneamente; è il rimedio che lenisce la paura della morte, una parte del celebre tetrafarmaco epicureo o, meglio, il suo lontanissimo pronipote.
L’album tenta di far proprio il significato liminale del termine, dando il via ad un continuo cambio di chiari e scuri parlando del mondo e delle sue sottili contraddizioni, situazioni invalicabili se non già rischiose, l’imprevisto. A cornice di ciò, le nove tracce in cui si snoda l’album attraversano le ispirazioni tratte dall’elettronica sì, ma da un modo di cantare che guarda allo shoegaze e al folk, fondendosi in una folktronica albionica.
Dall’apertura cautelativa di This Room, l’album prende una piega sempre più riflessiva prediligendo falcate down-tempo e un fare visionario che richiama al fare di David Sylvian (Blue). Qualcosa viene perso per strada, per esempio nella coralità di Shadow Line che risulta nel complesso meno efficace se confrontata con la gemella Changing views, nonostante il minutaggio corposo di quest’ultima.
Snow in Damascus! hanno scelto di intraprendere la via poco agevole dell’elettronica raffinata e declinata sul versante riflessivo, ragionata e lontana dalla decostruzione minimale a cui con frequenza va attorno. Questo fa dell’album un manufatto complesso che necessita di più incontri e più sessioni per essere degustato appieno.