La seconda uscita su Geffen per i Sonic Youth corrisponde con un parziale addomesticamento della forma sonora. La produzione di Butch Vig, già con i Nirvana per Nevermind, compatta i suoni, accorcia la durata di alcuni brani e prepara la discesa della band nell’arena mainstream più di quanto non avesse fatto il precedente Goo. Sulla carta si cerca di aggiornare suoni e scelte di una band rigorosa alla nuova ondata grunge, creando un paradosso tra le radici sommerse di un fenomeno e il suo improvviso status mediale. Per i Sonic Youth, pasturati alla scuola di Glenn Branca, si tratta di un involucro apparente che non restituirà i risultati sperati in termini commerciali. L’attitudine della band non è in fondo cambiata e la ricerca sonora emerge all’interno di una dimensione più comunicativa. Un equilibrio di opposti che raggiunge l’apice e che per certi versi rappresenterà l’inizio della fine. Gli album successivi non saranno più all’altezza segnalando un declino creativo in progressione.
Dirty rimane quindi la testimonianza eccentrica di un periodo che i Sonic Youth affrontano con il bagaglio del decennio precedente. Un gap generazionale che emerge anche dal dis/allineamento politico in termini espliciti, mentre quelle stesse istanze vengono tradotte sul piano sonoro con l’urgenza hardcore dei suoni Washington DC, a cui si riferiranno per alcuni episodi dell’album. L’approccio, anche in termini di registrazione, è più selvaggio rispetto a Goo e paradossalmente, nonostante l’involucro formale di cui parlavamo, riconduce la band nel lato più selvaggio, dalle parti di Daydream Nation.
L’identità visuale, se confrontata con l’esperienza immersiva di Goo, torna ad essere concisa e più vicina alle prime collaborazioni con Dave Markey.
Goo, è bene ricordarlo, uscì anche in versione VHS come vera e propria long form. Un visual album, affidato a nomi come Tony Oursler, Todd Haynes, Richard Kern, il fedele Dave Markey e altri registi tra cui Phil Morrison e Tamra Davis. Il tentativo era quello di creare un’iconologia alt-glam, che in qualche modo giocasse con i colori, le posture e l’immagine della band veicolata anche dall’artwork dell’album.
Sono solo tre i video di Dirty, il primo diretto da Spike Jonze con la collaborazione di Tamra Davis e gli alti due realizzati da un veterano come Nick Egan.
Jonze, reduce dall’esperienza con la seminale Propaganda Films, deve ancora esplodere quando gli viene affidata la regia di 100%. Girato a Los Angeles, viene filmato dallo stesso a bordo di uno skateboard, mentre ne insegue altri per le strade cittadine. Nel video si allude alla morte di Joseph Cole, ucciso durante una rapina con alcuni colpi di pistola. Il giovane attore americano, allora trentenne, era stato a lungo roadie per i Black Flag e la Rollins Band. Il suo spirito, così vicino alla cultura di strada riemerge nei diari pubblicati postumi e anche nel video di 100%. Il montaggio alternato tra le immagini di skating, una festa a cui partecipano gli stessi Sonic Youth e la morte di un giovane, racconta lo schianto di una lost generation. Risuona quindi con la natura elegiaca delle liriche, nel definire un sentimento della fine che attraversa tutto il brano.
Il dittico Sugar Kane / Youth against fascism, viene affidato a Nick Egan, grafico, autore di artwork, veterano dell’immagine punk britannica.
Commissionato da MTV, Sugar Kane combina il gusto grafico di Egan, con il ribaltamento dell’estetica fashion. New York City è il centro pulsante di una sfilata, dove Kim Gordon, con la consulenza di Marc Jacobs, mette in scena l’incorporazione di una moda combinatoria e creativa all’interno di un contesto mainstream. Una parodia della condizione vissuta dagli stessi Sonic Youth durante la produzione di Dirty e in qualche modo, una risposta alla stessa mercificazione del grunge. Non è quindi un significato binario quello alluso dal video di Egan. A battesimo, una giovanissima e bellissima Chloë Sevigny, nella fase aurorale della sua carriera, a due anni di distanza dal debutto con Larry Clarke, in Kids. Immagine dello scandalo, rappresenta il limine alieno tra i due mondi. Non è un caso che Egan recuperi l’estetica di Mick Rock e rilegga Jean Genie, alla luce di una rifondazione glam intesa come rottura dei codici urbani condivisi, mentre la figura dell’outsider emerge come nuovo riferimento generazionale e identitario. Il fatto che una parodia di Marylin venga associata alla piccola Jean Genie nel video di Rock e che il titolo del brano dei Sonic Youth si riferisca al personaggio interpretato dalla Monroe in “A qualcuno piace caldo” non è una connessione semplicemente suggestiva. Il magma mediatico contiene il germe della sua distruzione, così come l’opacità dell’immagine divistica si infrange con una rilettura capace di piazzare una mina nel cuore della rappresentazione. C’è una linea, nella discografia e nell’iconologia dei Sonic Youth che colloca Marylin, Madonna, Karen Carpenter, Carrol Baker e altre icone di consumo, in un dolente crepuscolo degli dei e allo stesso tempo nel solco di un incontenibile vitalismo erotico.
Meno conosciuto degli altri due, almeno nella rotation italiana programmata dal nostro convento, Youth against fascism è il secondo video diretto da Nick Egan per la band di Moore/Gordon/Ranaldo/Shelley ed è quello maggiormente in linea con l’estetica del regista britannico, tra elementi cut-out, collage e dimensione politica, tipica dell’immaginario punk. Egan realizza una vitale contaminazione tra performance e stop motion, innestando brandelli di grafica impazzita nel corpo stesso della jam. Kim Gordon che spara fiori animati da un fucile a canne mozze è una delle immagini più belle dell’intera videografia dei Sonic Youth e in qualche modo ribalta il senso di un’altra molto simile, legata al cinema estremo ed hardcore di Richard Kern, presente nel video di Death Valley 69. La violenza necessaria contro il sistema patriarcale, si rovescia nel rifiuto di qualsiasi pulsione distruttiva. L’anti-fascismo dei Sonic Youth è la negazione dell’anthem, il rifiuto delle posture combat rock, una militanza che si esprime nei termini negativi di una canzone da odiare.