La poesia “frammentista” di Kim Gordon in “Earhquake“, reagisce con il punto di vista urbano di Loretta Fahrenholz, per trasformare lo sguardo simulato della realtà aumentata nella sua versione situata. Più o meno accade lo stesso in “Terminal Slam“, il video realizzato da Daito Manabe per Squarepusher. A distanza di un mese e con intenzioni “aptiche” molto simili, la visione di quattro artisti al lavoro sul corpo mutante di due diverse megalopoli, diverge e libera riflessioni possibili sullo spazio che plasmiamo e quello che potrebbe plasmarci.
Daito Manabe non si è riferito esplicitamente ai Video Analytics e ai dispositivi di face detection attivati dalle intelligenze artificiali nella definizione del progetto condiviso con Thomas Jenkinson; l’interaction designer che ha fondato Rhizomatiks è perfettamente immerso nell’evoluzione del capitalismo di sorveglianza da una prospettiva empirica e il ruolo che gli interessa è quello di sperimentare reciprocità tra corpo e tecnologia, con il primo già estensione di un display merceologico espanso.
Nel video di “Terminal Slam”, il quartiere di Shibuya a Tokyo diventa tavolozza per un esperimento di glitch art reso possibile dal “sipario” degli occhiali AR indossati dalla protagonista. Daito Manabe descrive il virtuale come realtà oggettivata, cercando di avvicinare il più possibile la distanza tra il cyber-spazio e quello materiale, tanto da definire un altro, se non nuovo, ordine di realtà che sia in grado di superare l’idea binaria di verità/simulazione: “L’intelligenza artificiale – ha raccontato Manabe a mezzo stampa – è usata automaticamente per tracciare persone, oggetti e l’advertising contenuto nel video. Essi sono cancellati dalla realtà oppure sostituiti da altri contenuti pubblicitari. Nel futuro prossimo venturo, sarebbe stimolante poter riscrivere contenuti pubblicitari nel modo libero che viene raccontato nel video di Terminal Slam, ovvero indossando un dispositivo come quello della protagonista e vagando con esso per la città“.
Squarepusher – Terminal Slam – il video diretto da Daito Manabe
L’artista giapponese si allinea alle riflessioni sulla post-flânerie come riconfigurazione dell’esperienza percettiva urbana, alla luce delle estensioni mobili che incorporano virtuale e materiale in uno spazio ibrido di convergenza. Ridotto a “surfer” dalle “seconde vite” simulate nello spazio digitale occupato dagli avatar, il flâneur benjaminiano riemerge in questa dimensione transizionale come nomade iperconnesso armato di smartphone, dove simulacro e realtà fisico-materiale coesistono.
“Quello che abbiamo cercato di ricreare – ha raccontato Loretta Fahrenholz in un’intervista realizzata per Nowness in occasione del lancio di “Earthquake” – è una celebrazione della materialità fatta di pixel delle immagini filmate dai dispositivi di sorveglianza“.
Per Kim Gordon si tratta di constatare semplicemente quanto il confine tra pubblico e privato sia diventato labile e indistinto, mentre la canzone che definisce come la più intima e personale tra quelle contenute nel suo nuovo “No Home Record“, trova applicazione libera in questa riappropriazione soggettiva dello sguardo al potere immaginata dalla Fahrenholz.
Kim Gordon – Earthquake – Il video diretto da Loretta Fahrenholz
Daito Manabe, con il consueto ottimismo positivista, pensa già ad un hacking delle dinamiche di profilazione, dove ciascuno possa intervenire sugli spazi destinati all’advertising, proponendo la propria rimodellazione dell’esperienza percettiva, ovvero il contrario di quello che sta avvenendo nella feroce battaglia per l’accesso e la gestione dei megadati, in relazione a tutte le forme di price discrimination.
A differenza di “Terminal Slam”, il video di “Earthquake” traccia e tagga gli individui con il rilevamento di direzione, concentrandosi sul rapporto tra esperienza e città aumentata da una prospettiva quotidiana e ibrida, uno sguardo ancora ad altezza videomaker rispetto alla rimodellazione dello spazio attraverso la “corruzione” creativa e performativa dei dati a cui assistiamo nell’action painting digitale di Manabe.
Loretta Fahrenholz dice di essersi ispirata alle Dash-cam installate sul cruscotto delle auto, ovvero i DVR Auto che si stanno diffondendo anche tra gli automobilisti italiani, in assenza di normative specifiche che ne regolino l’utilizzo, ma per girare il video, l’artista visuale berlinese ha usato semplicemente il suo smartphone attaccato al vetro laterale di una macchina, per esplorare le strade di Los Angeles, città che la Gordon definisce come negativamente voyeuristica.
You want me to see you / Are you twelve? / You want me to be you / When you’re twelve / When you’re twelve (Earthquake, Kim Gordon)
La parola, che per Kim Gordon è seme dell’immagine, reagisce con le immagini del video, aprendo entrambi i livelli alla libertà del punto di vista, lo stesso che i software di video analisi cercano di sostituire, organizzando un esercito di spie in cui siamo già arruolati.
Il filtro “liquify” applicato alle immagini, lo scheletro vettoriale che le ridisegna, gli sconfinamenti tra colore, pieni e vuoti ottenuti con Content Aware Fill aprono all’elaborazione di un’altra città dove le figure umane vengono cancellate, si dissolvono, diventano parte di uno spazio ricombinato dai sensori, grazie ai vfx del collettivo TRLLM (Jak Ritger and K8 Howl).
Non sono diversi gli effetti dei glitch performativi di Daito Manabe che eliminano la presenza umana per favorire l’estremizzazione dello sguardo soggettivo, costituito da forme e colori di una metafisica merceologica (qui si rifletteva sul falso-metafisico).
Nella Tokyo del futuro, sembra che la tecnocrazia algoritmica immaginata da Manabe abbia eliminato qualsiasi sacca di povertà, entro i confini “playful” di un contest continuo dove immaginarsi nuovo advertising creativo. Mentre i nostri corpi si incontrano e si fondono nello spazio ibrido delle nuove città sempre connesse, l’impossibilità di accesso al digitale delle fasce sociali più deboli, ha reso i loro corpi non profilabili, cancellati e probabilmente confinati nelle nuove estese colonie penali, il cui stato dell’arte è quello attuale delle carceri, dalla Libia all’Italia; istituti di tortura fermi a qualche secolo fa.
La contea Losangelina, nel 2019 contava 59,000 homeless; una “tent city” espansa, fatta di cittadini non tracciabili se non dalla rilevazione securitaria che può identificarli in massa.
Invisibili nella tecno-arena ipervisibile.