Bisogna dare conto ce se non ci fossero stati certi personaggi nella storia del rock, molte correnti, molti artisti e molte band avrebbero avuto un repertorio più povero, o forse non sarebbero nate. Per gli Spacemen 3 possiamo prendere questa supposizione come valida. Band di culto degli anni ’80, riscopritori delle atmosfere psichedeliche in odor space rock che andavano circa vent’anni prima, hanno contribuito alla rilettura positiva di quel pop pulp e fuori di melone, che include le bellone di Russ Meyer arrivando fino ai Nuggets raccolti da Lenny Kaye.
Di quella compagine faceva parte anche Sterling Roswell, detto Rosco, il quale prestò le sue mani per battere i tamburi nel culto “The Perfect Prescription” e nel successivo “live Performance”. Con il suo stile tra il primo Nick Mason e Maureen Tucker, Rosco ha proseguito per la sua strada anche nei Darkside, altra formazione dalle mire psichedeliche ma più compattata verso il rock tradizionale.
Avviato verso una carriera solista soddisfacente, l’ex Spaceman 3 ha continuato la sua ricerca sonora procedendo a ritroso, celebrando gli idoli di quando era ragazzino, ossia ancora lo space pop di barrettiana memoria, come pure le turbe acide dei Velvet Underground. “The Call of the Cosmos” è il secondo risultato, dopo “Psychedelic Ubik”, dove Rosco trova finalmente il suo spazio personale. Non aspirando al culto, alla nicchia, alla sterilità di una formula ripetuta, Rosco si gioca le sue carte, ovvero un suono compiutamente retrò e delle melodie semplici, quasi senza tempo.
A parte la pomposità dei titoli come Interplanetary Spaceliner, che va di pari passo con il packaging del disco, proprio tracce come quella citata, The girl from orbit in dub, Tripmaker, assurgono a diventare i pilastri del disco, dato che la metà delle tracce è formata da svisate psichedeliche di cui, oggi, forse, potremmo non sentirne il bisogno. La contrapposizione tra le scintille pop di chitarre sonanti e le lunghe intromissioni determina un giudizio tranchant su questo disco: o lo si ama per la metà pop, o per la metà kraut-avantgarde. Nella testa di Rosco tutto convive, ma nel 2014 forse le tendenze vanno altrove.
D’altra parte, potremmo domandarci: perchè un individuo sente il bisogno di fare un disco? Nel caso di Roswell per piacere personale, dato che il meglio lo ha già dato venticinque anni fa.