martedì, Dicembre 24, 2024

Stock Footage: videoclip senza budget?

Dopo la storia degli archivi Prelinger, esaminiamo un caso particolare nell'utilizzo di stock footage per la realizzazione di videoclip, quello dello sfruttamento creative commons di cortometraggi. Il caso più recente è relativo agli ottimi Linda Collins con il video di Kid #1

Una delle sequenze più belle della prima stagione di Twin Peaks è quella dove Audrey Horne (Sherylin Fenn) disegna uno spazio immaginario, ballando sul pavimento del Double R, mentre il Juke Box del locale diffonde le note composte da Angelo Badalamenti, pensando in parte a Leonard Bernstein e ad altre contaminazioni provenienti dagli anni cinquanta. Nel lavoro di David Lynch condiviso con Mark Frost, la musica, ma soprattutto i dispositivi che la diffondono, dai Juke Box ai giradischi, delineano uno spaziotempo sospeso tra due ordini di senso e realtà, che escono ed entrano dalle occorrenze fattuali del racconto. Realtà e surrealtà possono coincidere almeno in un punto, irriducibile. 

Tra i molteplici mondi paralleli costruiti dalla fanbase del noto serial, ne esiste uno molto divertente che utilizza la sequenza che coinvolge Audrey nella danza sognante, per abbinarla ogni giorno ad un differente contributo musicale. Rimane il movimento, il gesto e la capacità del corpo di costruire senso, con la fusione casuale di un brano più o meno noto, che può collidere con quel mondo, oppure aprire sorprendentemente nuove prospettive. Il progetto si chiama Audrey Horne Dancing to Various Songs e ha una sua pagina Facebook. A destare interesse è la serialità dell’operazione, la continua e ossessiva ricollocazione di una sequenza sempre identica a se stessa e sempre diversa per le sollecitazioni che può evocare, anche quelle destinate ad infrangersi. 

Operazioni “fanmade” come questa, non tengono conto ovviamente dei limiti legali legati allo sfruttamento di materiale protetto dal diritto d’autore e sopravvivono in una zona più grigia della Black Lodge, in un passaparola virale che vive una vita parallela rispetto alla dimensione ufficiale. 
Proprio su queste pagine, abbiamo recentemente analizzato la storia e la missione dei Prelinger Archives e dei contenuti “open” con licenza libera, attraverso l’utilizzo diversificato che ne hanno fatto musicisti e creativi per realizzare video musicali. 

Questa forma più aperta di “stock footage” ha numerose diramazioni, alcune delle quali sono approdate fuori dal recinto di Archive.org con restrizioni più o meno vincolanti. 

Sono molti gli archivi digitali che offrono clips girate da videomaker di tutto il mondo, il cui utilizzo viene garantito su licenze libere di vario genere. Lo Stock footage di VEED.IO per esempio, consente di sfruttare un vasto archivio gratuito diviso per tipologie (natura, time lapse, amore, sfondi in 4K) che può essere scaricato liberamente, oppure combinato con gli avanzati strumenti di editing online predisposti dalla piattaforma e utilizzabili al massimo delle funzioni sottoscrivendo una serie di piani mensili.

Tra gli archivi digitali che offrono Free Clips in modalità trasparente c’è Mazwai.com, una risorsa di filmati forniti gratuitamente, in accordo diretto con i creativi che le hanno realizzate. Sono due le licenze applicate, la prima è la classica Creative Commons 3.0 (CC-BY 3.0), che consente utilizzo libero anche a scopo commerciale, ma con l’obbligo di citare l’autore del filmato. La seconda licenza è definita dalla stessa “Mazwai” e consente di utilizzare il materiale anche per scopo commerciale, senza l’obbligo di citare l’autore. 
Mazwai, così come altri archivi “stock footage”, oltre a clip di breve durata, ospita anche interi cortometraggi, condivisi da registi emergenti di tutto il mondo. 

Una prassi questa che dovrebbe consentire ai giovani autori di cinema di farsi conoscere oltre i soliti circuiti festivalieri, non sempre capaci di generare un movimento sufficiente intorno ai propri lavori. 
Raízes & Asas, per esempio, cortometraggio diretto e montato dai brasiliani Renato Cabral & Luis Felipe Pimenta, con la fotografia di Artur Graciano è un corto sospeso tra documento e cinema di poesia, ospitato da Mazwai e disponibile per download e utilizzo con licenza Creative Commons 3.0 (CC-BY 3.0).

Questo significa, in termini concreti, che può essere trasformato, modificato, cambiato e utilizzato a qualsiasi scopo, a patto di citare l’autore delle immagini originali. 

Sono sempre più numerosi i casi in cui cortometraggi con una narrazione conclusa e completa, vengono utilizzati più o meno integralmente, senza operare alcun intervento di editing, se non l’abbinamento semplice di un brano musicale alle immagini.

Una modalità a costo zero, che in base alle licenze applicate, dovrebbe consentire di promuovere entrambe le opere, accettando il compromesso oppure il rischio, di un’operazione di intervento radicale sul suono originale, che in questo caso viene completamente rimosso e sostituito.

Niente di male, perché conferma l’apertura di alcuni artisti verso altre forme combinatorie, così da offrire alle proprie opere altre vie e possibilità interpretative. L’opera rimane identica, ma cambia sensibilmente nel produrre nuove traiettorie di senso. 

Qui in Italia, a memoria, ci viene in mente l’utilizzo che Femina Ridens ha fatto del corto di Juan Manuel Aragòn intitolato “I Feel Lost” per il video de “La Banalità“, mentre di recente, il post-rock evocativo del collettivo Linda Collins, ha utilizzato proprio il corto di Renato Cabral ospitato da Mazwai, per promuovere Kids #1.  I Linda Collins in particolare arrivano dopo Adfectus, che ha utilizzato il lavoro di Cabral per promuovere “Eu sei là” e gli Electro Light, che hanno fatto lo stesso per Symbolism.

Uno dei motivi che spinge i musicisti ad affidarsi alle risorse “stock footage” e a interi segmenti narrativi, come quelli legati al cosiddetto “cinema corto”, è di natura economica: mancanza di budget oppure una relazione del tutto funzionale con il videoclip, considerato come un semplice veicolo per promuovere la controparte musicale. Lo bolla del social media marketing in questo senso ci insegna, nel bene e nel male, che la consapevolezza qualitativa di un marchio, può essere costruita allontanandosi dal centro stesso del prodotto, creando universi paralleli che possano definire i contorni di uno spirito e di un’immagine pertinente, è il caso per esempio delle clip lifestyle di Red Bull, che senza parlare direttamente del noto energy drink, hanno sviluppato una filosofia visuale ben precisa, per raggiungere una fetta di mercato specifica. 

La fragilità del mondo musicale indipendente, dedica alla promozione uno spazio consistente: in estrema sintesi, i musicisti si pagano tutto, mentre l’unico soggetto a ricevere una retribuzione certa è il promoter, il cui rischio di impresa è minimo. Ha quindi un peso maggiore il piano di comunicazione, rispetto ad un possibile investimento per la realizzazione di un videoclip. E se quest’ultimo è strumento essenziale per veicolare in rete la propria musica, gli archivi “Stock footage” diventano un’occasione appetibile per ottenere un video a “costo zero”, in cambio di una manciata di recensioni e di un metodo di lavoro “old style” che si basa su criteri sterilmente reputazionali. 

In un momento come questo, dove la crisi epidemiologica sta diventando sistemica in termini economici, nonostante le sirene della narrazione politica, i piccoli e i grandi set devono ricorrere a misure eccezionali per poter andare avanti e chi non può permettersi un monitoraggio specifico di risorse e spazi in termini di sicurezza, o si arrangia inventandosi spazi di lavoro più concisi e casalinghi, oppure riduce drasticamente la concezione dei propri progetti. 

Paradossalmente, il peccato originale dei videoclip, ovvero la dimensione narrativa che negli anni ottanta ne faceva dei bizzarri, piccoli film muti, torna ad indicare il problema estetico maggiore, quello di un dispositivo narrativo autonomo che potrebbe funzionare, oppure no, con decine di brani diversi. 
In una frase, è la morte di quello spazio di convergenza che il videoclip, nell’ibridare svariate forme, ha rappresentato e ancora rappresenta. Uno spazio dove si creano le condizioni economiche e creative per poter delineare intersezioni collaborative e combinatorie. Questo spazio possibile e sperimentale non è più, e forse non lo è mai stato, quello delle produzioni indipendenti, ma può ancora verificarsi dove circolano budget che consentano a tutti di lavorare

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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