Cominciamo da Celia Hempton. Per chi non avesse familiarità con la pittura dell’artista britannica, la sua relazione “espressionista” con il colore, pur servendosi della materialità di supporti e vernici, crea un ponte con il mondo digitale, per il modo in cui cerca e recluta soggetti attraverso i dispositivi interrelati del web.
Modelli intercettati in chat, più o meno informati sul loro ruolo, con i quali stabilisce una connessione erotica “impossibile”. Il risultato è uno studio incessante e talvolta furibondo tra i limiti della tela e le possibilità espanse del colore. Proprio in questa battaglia l’estrema potenza cromatica delle sue opere recupera i corpi frammentati nello spazio digitale, come magma fisico in costante movimento, tra riappropriazione e dissoluzione dei principi identitari.
Il maelstrom mutante della Hempton compare a più riprese nel nuovo videoclip di Sufjan Stevens, diretto da Luca Guadagnino. Il regista siciliano, abita perfettamente quel luogo di convergenza di cui parliamo sempre da queste parti, in relazione all’evoluzione storica del video musicale.
In un limbo bianco filma corpi che attraverso il movimento, introducono la fluidificazione metamorfica del percepirsi. Qui, adesso, in uno spazio senza alcun riferimento dimensionale, con il corpo come unico e solo recettore, all’interno di un Eden negativo dove la conoscenza di se deve essere riattivata.
L’idea proviene direttamente dal progetto espositivo del fotografo cremonese Alessio Bolzoni, curato da Teresa Macrì e diffuso per le strade di Milano dal giugno 2020. “Action Reaction. Billboard Project” interrogava l’isolamento che abbiamo vissuto e stiamo vivendo attraverso 26 cartelloni pubblicitari. Da una parte il Billboard stesso come spazio di relazione dove l’arte può mettersi in gioco, dall’altra un discorso più ampio sul corpo, dove la sua fenomenologia viene riscritta a partire da un confine, che provocatoriamente mi piace definire “concentrazionario”. Da quella costrizione i corpi fotografati da Bolzoni provano a riattivarsi, a riscrivere la propria storia, a farsi segno in una realtà che sta cancellando ogni traccia di se.
Guadagnino muove questi corpi che negli scatti di Bolzoni esprimono urgente potenzialità, cercando in forma combinatoria di farli reagire con il lavoro della Hempton in termini più visuali ed empirici che concettuali.
Anche il magma coloristico delle pitture si muove grazie alla post produzione digitale e sembra elaborare un passaggio dai fenomeni sinestetici di luce pura che introducono il video, fino alla trasformazione da corpo a magma, dal tatto al pixel.
In questo senso la clip di Tell me you love me legge l’universo poetico di Stevens rilanciando il dissidio tra identità e natura, come se fosse la riscrittura della tradizione biblica immaginata da Angela Carter, secondo quei principi alchemici di trasformazione della materia che sostituiscono il personale con lo spirituale e quest’ultimo come energia pre-formale da cui può emergere anche il politico.
La volpe, mutaforma per eccellenza tra cultura orientale e occidentale, appare come ultimo stadio, prima di tornare ellitticamente alle forme luminose. Ci guarda e ci invita a recuperare una relazione incondizionata con il paesaggio, uscendo dalla frontalità spettatoriale e penetrando quella contemplativa, intesa come comunione d’amore nella sua pienezza.