Quando Tess Parks si trova in pianta stabile a Londra, città d’adozione per la musicista canadese, coglie l’occasione di entrare in contatto con Alan Mcgee sul set di un film. Con l’amore e la determinazione di chi è nato in mezzo alla musica, Tess consegna i suoi demo al noto produttore, fondatore storico della Creation Records.
L’album sulla lunga distanza arriva nel 2013 come uno dei primi pubblicati dalla nuova etichetta dello storico produttore degli Oasis, la 359 Music, ed è lo stesso McGee a definire le sue attitudini: “Tess è una vera devota nella chiesa del rock’n’roll. Ha grande gusto ed è davvero tagliente. Ho avuto nuovamente fortuna!”
La Parks arriva a Mcgee come coronamento di un percorso, il suo amore per la band di Liam Gallagher è di quelli che delineano un vero e proprio racconto di formazione, ma la passione per quelle radici condivise ha qualità molto più stratificate, lo dimostra questo suo nuovo incontro con Anton Newcombe, la mente dietro al progetto The Brian Jonestown Massacre che attraverso la sua etichetta pubblicherà a breve “I declare nothing“, nuovo lavoro scritto a quattro mani e registrato nel suo studio berlinese durante il 2014.
Anticipato dal brano “Cocaine Cat” presentato il 18 aprile scorso in occasione del Record Store Day, l’album arriva in un momento prolifico per la A Recordings di Newcombe e segue a ruota la pubblicazione di “Revelation“, recente lavoro a nome The Brian Jonestown Massacre pubblicato lo scorso maggio.
“I declare nothing” segna un notevole passo avanti per il songwriting della Parks, in una direzione più visionaria e personale resa ancora più vivida dal lavoro di Newcombe alla produzione artistica e alla sistemazione integrale del setting sonoro. Un lavoro stratificato e che supera l’approccio in forma “duo” con l’inserimento di diversi elementi strumentali tra chitarre fuzz, organo, basso, batteria, chitarre acustiche ed elettriche e un mellotron, segni di uno psych pop potente e suggestivo che sul palco, anche per l’imminente tour europeo, sarà affrontato con una band di sei elementi.
Abbiamo rintracciato Tess Parks per capire da vicino la storia dell’album ma sopratutto per conoscere le caratteristiche di un’artista che ci affascina molto per il suo approccio naturale e creativo ad alcune suggestioni del passato. La Parks riesce ad essere miracolosamente creativa senza risultare derivativa forse proprio in virtù di questa aderenza sincera ad un certo immaginario; è una vera e propria icona Psych pop che si muove tra sincerità e postura, suggestioni letterarie e impatto audio-visivo, malinconia nichilista e gioco.
Tess, che ha studiato fotografia, si circonda sempre di artisti visuali di altissimo livello, basta guardare i videoclip che hanno promosso la sua musica in questi pochi anni. Dopo essersi trasferita a Londra, è tornata momentaneamente a Toronto per mettere insieme una band proprio su consiglio di McGee. Nascono i Tess Parks & The Good People alla fine del del 2012, band costituita dal chitarrista Andrew McGill, il bassista Thomas Huhtala e il multistrumentista Thomas Paxton-Beesley. Dopo la pubblicazione di un EP auto-prodotto Work All Day/Up All Night, interamente registrato a Toronto, ha realizzato il primo album nel 2013 insieme ad Alan Mcgee.
Il suo approccio ipnotico influenzato da musicisti di vario genere, dalla psichedelia Creation-era fino al pop di Elliott Smith, trova un nuovo terreno di sperimentazione in questo lavoro condiviso con Anton Newcombe, riguardo al quale abbiamo parlato insieme a Tess.
Le fotografie dell’articolo sono di Liberto Fillo
Come hai cominciato con la musica?
Ho cominciato a scrivere canzoni e poesie all’età di sei anni mentre a sette ho preso in mano la chitarra per la prima volta. È durante il liceo che ho messo su una band con il mio miglior amico, avevo diciassette anni e ho allestito il mio primo concerto solista a diciotto. Diciamo che ho sempre avuto il desiderio di scrivere, suonare, esser parte di una performance e quindi crescere in tutte queste direzioni.
A questo proposito ho letto che la tua famiglia ha radici musicali. Si è trattata di un’attitudine importante per lo sviluppo dei tuoi progetti?
Mio nonno era un pianista professionista, ha suonato per 83 anni e poteva davvero suonare di tutto, per tutto il tempo e in modo davvero brillante. In qualche modo mi sono sentita in dovere di ricevere la sua eredità creativa.
Ti sei trasferita dal Canada a Londra all’età di 17 anni e ancora vivi tra i due paesi. Cosa hai trovato a Londra che era impossibile vivere a Toronto, e cosa senti di aver perso della vita come torontoniana?
Londra per me è il centro dell’universo, sia dal punto di vista storico che musicale. Amo camminare da sola per le strade di Londra. Per me è una città dall’infinita grandezza e dalle molte possibilità. C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, da ammirare o da fare, qualcosa con cui confrontarsi. Musei gratis dove infilarsi quando piove, concerti gratis, un nuovo parco dove perdersi, è una città assolutamente speciale, ma ha anche un lato scuro e solitario, freddo, piovoso e depressivo e in quei casi ti senti davvero piccola, come se tu facessi parte di un perverso mondo di lupi. Toronto è la mia casa, mi manca la mia famiglia e i miei amici di infanzia. Mi manca tutto il grande spazio aperto che la città offre, non ho mai provato ansia a Toronto. Aver la possibilità di vivere tra le due città, sentendomi bene e con l’opportunità di viaggiare in altre città, è per me una vera fortuna e mi fa star bene.
A proposito di viaggi, hai incontrato Anton Newcombe a Berlino un anno fa, puoi raccontarci come è iniziata la vostra collaborazione?
Sono fan dei Brian Jonestown Massacre da molto tempo, e ho incontrato Anton attraverso un nostro comune amico, Alan Mcgee. Ero in visita a Berlino nel febbraio del 2014 e insieme abbiamo registrato un paio di brani, per poi capire che le session stavano venendo molto bene, per questo si è pensato di registrare un album completo quando il tempo ce lo avrebbe permesso. Nel settembre del 2015 ci siamo incontrati di nuovo e abbiamo proseguito il lavoro.
Avete fatto tutto da soli?
Insieme ad Anton ho scritto tutte le canzoni, Anton ha suonato l’insieme di tutti gli strumenti presenti nell’album, mentre la chitarra è mia. Abbiamo potuto inoltre contare su alcuni musicisti di grande talento per arricchire alcune tracce. I testi sono tutti miei e Anton, oltre alla preparazione degli strumenti si è in pratica occupato della produzione artistica.
Prima della versione definitiva di “I declare nothing” sono circolati alcuni demo condivisi ufficialmente su youtube. Come mai questa scelta?
Anton aveva un’idea che lo attraeva molto e penso che sia stata un’occasione davvero bella e interattiva, mi riferisco al fatto di condividere con i fan i lavori in corso sul progetto. Li ha fatti sentire come parte del processo stesso di lavorazione, è un approccio che mi è piaciuto molto.
“I declare nothing” mi sembra molto più visionario del tuo precedente “Blood Hot”, che in termini di impatto era stupefacente. Questo è forse più astratto e libero, che cosa ne pensi?
“Blood Hot” è una mia fotografia personale nella sala prove del mio migliore amico tra il giugno e il luglio del 2013. Letteralmente era un dialogo musicale con i miei amici, mentre suonavamo. Ma al di là di questo la preparazione dell’album è stata molto importante perché non avevo mai realizzato un disco prima di quel momento e non avevo mai registrato le mie canzoni in modo appropriato, con buoni microfoni, un setting strumentale adeguato e cosi via. Le canzoni che ho scelto di registrare erano quelle che desideravo condividere da lungo tempo, inclusi tutti i sentimenti che volevo esprimere in quel periodo. Lo ascolto adesso ed è ancora pregnante. “I declare nothing” è la prosecuzione naturale di questa crescita come persona ma anche come artista. È un lavoro che passa attraverso emozioni, idee e sentimenti diversi e che avevo la necessità di esprimere.
Ci sono già un bel po’ di video musicali legati a “I declare nothing“. Puoi raccontarci qualcosa sulla realizzazione, in particolare “Mama” e “German tangerine” mi sembra che abbiano un approccio molto sperimentale, che mi ha ricordato il new american cinema mentre “Friendlies” è più tradizionale anche se riesce comunque a sperimentare utilizzando diversi formati…
Mama è stato diretto e filmato da alcuni dei miei amici, Catarina Feliciano e Jacob Dempsey. Mi fido ciecamente di Catarina, in passato abbiamo lavorato insieme e sperimentato in modo molto creativo, lei ha idee meravigliose, e sembra avere l’anima geniale di un poeta visuale. In questo senso abbiamo messo insieme alcune immagini girate ex-novo con vecchie pellicole super 8 della madre di Jacob quando era bambina. È un video molto simbolico con riprese magiche, rilassate e anche divertenti.
Tess Parks & Anton Newcombe – Mama, il videoclip
German Tangerine è stato diretto da Anton stesso insieme a Jean De Oliveira (N.d.r. regista anche di Shallow Tears dei Sepiatone, presentato in anteprima qui su indie-eye) e realizzato nello studio di Anton a Berlino. Si tratta di un girato molto veloce e facile mentre Jean ha donato il suo tocco magico in fase di post produzione e montaggio.
Tess Parks & Anton Newcombe – German Tangerine, il videoclip
Friendlies è stato diretto e filmato da Lilly Creightmore (N.d.r. fotografa e artista visuale londinese, ha diretto video per Will Carruthers, The future primitives e molti altri, generalmente lavora con formati a passo ridotto come il super 8) e Natasja Fourie (N.d.r. fotografa sudafricana che lavora spesso sul rapporto tra corpo e paesaggio, nudo e condizione umana). Sono entrambi artisti di grande talento nei loro rispettivi campi. Mi hanno proposto il progetto e questo soggetto meraviglioso con una linea narrativa molto dolce. Per girarlo ci siamo recati ad Hastings e abbiamo girato in pochi giorni. Una bellissima esperienza, sono stata molto fortunata a lavorare con persone creative come loro!
Tess Parks & Anton Newcombe – Friendlies, il videoclip
Anche tu hai una notevole esperienza nel campo visivo, sopratutto nella fotografia, che hai studiato. Come interagisce questo mondo con quello delle tue canzoni?
Amo documentare tutte le cose, non importa se il mezzo che scelgo è quello delle parole oppure se affronto la documentazione attraverso le immagini.
Che tipo di fotografia ami?
Ad essere onesta, molti dei miei amici sono fotografi di talento, come Luis Mora, Katy Lane, Lilly Creightmore, Shelby Fenlon. Ci sono anche grandi fotografi rock and roll come Jill Furmanovsky, David Bailey, Duffy..
Il Canada ha influenzato in qualche modo il tuo approccio alla musica? c’è qualcosa della scena di Toronto che ti piace in modo particolare?
La scena di Toronto è molto coesa e di supporto. Ci sono moltissime cose che proprio adesso determinano un grande fermento. Le mie etichette preferite al momento sono la Optical Sounds e la Hand Drawn Dracula (N.d.r. sono etichette per lo più specializzate in psych pop)
Citi sempre gli Oasis come un riferimento importante per il tuo lavoro, ma se non mi sbaglio hai anche allestito un tributo ad Elliott Smith proprio a Toronto. In che modo questi due artisti ti hanno influenzata?
Gli Oasis sono la band che mi ha spinta a suonare. Lo loro è la musica che ha avuto il primo grande impatto su di me. Elliott Smith è stata una passione successiva, legata agli anni del liceo, forse anche prima. Quella di Smith era un tipo di musica di cui avevo bisogno nel periodo in cui stavo attraversando l’angoscia esistenziale e priva di fondamento dell’adolescenza, sono davvero grata di aver scoperto la musica di Elliott in quegli anni.
“Blood Hot”, il titolo del tuo album precedente, è ispirato da un verso di Sylvia Plath tratto da “Totem”. Quanto la poesia è importante per te, durante la fase di scrittura dei tuoi testi?
Sei la prima persona che ha scovato la provenienza poetica di “Blood Hot“, questo mi sembra bellissimo! La frase è “The world is blood-hot and personal” ed è uno dei versi più potenti che abbia mai letto. È una cosa bellissima da dire, e dal punto di vista creativo, la Poesia e i testi di una canzone sono due definizioni che indicano la stessa cosa, per quanto mi riguarda.
Quindi l’ispirazione della tua musica da dove viene principalmente, immagini, poesia, altra musica…
Tutte queste cose insieme, per tutto il tempo!
E il titolo “I declare nothing” da dove viene?
È una citazione da Oscar Wilde “I have nothing to declare except my genius“
In che modo porterai i brani dell’album sul palco, suonerai con una band?
Insieme ad Anton abbiamo messo su una band di sei elementi e suoneremo l’album nella sua interezza insieme ad altre canzoni.
A proposito di capacità performative, hai una voce molto particolare. Davvero ne sono innamorato. Mi ricorda in parte Nico ma in altri casi ferisce come quella di Jim Reid! Mi sembra anche molto diversa dalle voci femminili dei dischi pubblicati tra gli ottanta e i novanta dalla Creation Records o comunque, diversa da quella qualità eterea che identifica un marchio di fabbrica nelle qualità vocali di Hope Sandoval. Mi sembra nuova, tra uomo e donna, una qualità che definirei aliena. Che ne pensi e quali voci sono state importanti e di ispirazione per te?
Grazie davvero per quello che hai detto, mi hai fatto un complimento molto bello. Questa è semplicemente la mia voce, quella che viene fuori. Quando ero molto giovane avrei voluto emulare la voce degli artisti che amavo, da Liam Gallagher a Etta James. Mi piace molto la voce di Patti Smith, ma anche quelle di Chan Marshall, Jim Morrison, Kurt Cobain. Mi piacciono tutte quelle voci che risultano dolorose e che fanno uscire fuori il dolore.
C’è spazio per l’improvvisazione nella tua musica?
Certo, naturalmente. Tutto è assolutamente improvvisato
Mi piace molto la tua immagine. È spontanea ma ha anche un certo spessore culturale. Penso a Jane Birkin, alla Bardot del periodo Gainsbourg. Quali sono le tue icone preferite, nel cinema, nella musica e nell’arte in genere?
Grazie è molto carino da parte tua. Amo Jane Birkin, è bellissina, così come amo tutte queste donne bellissime degli anni sessanta; Twiggy, Faye Dunaway, Penelope Tree, Jean Shrimpton. E mi piace anche Michael Kane ahahah, i Rolling Stones, David Bowie, John Lennon, Yoko Ono…..Van Gogh?? Possiamo considerarlo un’icona? Penso proprio di si!