giovedì, Novembre 21, 2024

The Auteurs – Now I’m A Cowboy + After Murder Park + How I Learned To Love The Bootboys: le ristampe

Non si esce vivi dagli anni ’90. O forse sì. Luke Haines, deus ex machina dei britannici The Auteurs, outsider di lusso capitati per caso nel calderone puffettoso del Brit Pop dei Nineties, sicuramente ne è uscito con classe, da buon figlio di puttana gonfio di ego e sarcasmo quale è sempre stato. Il suo libro del 2009, “Bad Vibes: Britpop And My Part In Its Downfall”, sorta di pamphlet carico di veleno per i protagonisti di quella (effimera?) scena, ce ne aveva fatto riscoprire il talento unpolitically correct e fuori dagli schemi.
Gli Auteurs sono sempre stati un’anomalia; troppo arty per essere solo minimamente accostati ai bestseller Blur e Oasis, venivano in qualche modo affiancati all’ala più glamour ed intellettualoide della scena, ossia Pulp e Suede.
Queste preziose e lussuosissime ristampe a cura della Cherry Red partono dal secondo disco del quartetto, Now I’m A Cowboy. L’esordio New Wave – ristampato ad inizio anno sempre dalla stessa label – li aveva fatti apprezzare dalla critica d’Albione e da una certa fetta di pubblico in vena di riscoperte nostalgiche dell’epoca Rock’n’Roll del Duca Bianco; così, nell’anno di grazia 1993, i nostri erano pronti a spiccare il grande salto ed a diventare, con le parole del loro leader, una “Professional Rock Band”. Si chiusero in sala di registrazione col produttore Phil Vinall e dopo peripezie varie, compreso un remixaggio completo dell’intero album durato un mese lavorando 20 ore al giorno, il disco uscì l’anno successivo. Now I’m A Cowboy resta il disco di maggior successo dei nostri grazie al traino del singolo Lenny Valentino, tiro nirvaniano imbevuto di reminiscenze glam wave. Il suono dell’album è al contempo asciutto e ricco di atmosfera, grazie all’onnipresente cello suonato da James Banbury. Chiari i riferimenti degli Auteurs: un’oscurità wave figlia delle ballate decadenti degli Only Ones di Peter Perrett, unita ad un approccio glam rock parecchio ambizioso come solo potevano essere i vari Bolan e il già citato Bowie. La voce di Haines è una sorta di crooning carico di malessere che si insinua tra le pieghe di chitarre a volte fragorose (siamo pur sempre nei ’90) ma molto più spesso delicate ed arpeggiate. I momenti migliori del disco si raggiungono con l’intensa The Upper Classes, Bowie e Reed amari e disillusi come non mai, con la ruffiana New French Girlfriend, con la melodia circolare ed ombrosa di Underground Movies e con il crescendo gonfio di grandeur glam di Modern History. Il loro pop decadente ed ambiguo è infarcito di liriche dove vengono tratteggiate storie di (stra)ordinaria disperazione. Il disco originale è impreziosito da un secondo cd ricco di b sides (tra cui spicca l’ottima Car Crazy, caracollante country folk song lunare e malinconica) e di estratti live e sessions per la BBC.
Due anni dopo, nel 1996, è la volta di After Murder Park, terzo disco della band e probabilmente il loro acme creativo. Concepito da Haines durante un periodo di convalescenza forzato (si era rotto le anche in una rovinosa caduta da ubriaco alla fine di un tour europeo), il disco è prodotto da Steve Albini, fortemente voluto dalla band. Registrato quasi in presa diretta sfruttando pochissime takes, After Murder Park trasuda rabbia e paranoia da (quasi) ogni nota; d’altronde siamo in piena epoca Grunge, anche se le coordinate sonore dei nostri non sono sicuramente quelle dell’Hard Rock dei Seventies, bensì vanno ricercate sempre in un Glam/Art Rock malaticcio e crepuscolare reso ruvido dalla produzione al solito spigolosa di Albini. La band suona compatta come non mai ed è chiara l’intenzione di prendere le distanze dal Brit Pop; nulla può più ricondurre gli Auteurs a quella scena. Forse solamente due brani, ovvero la title track e Unsolved Child Murder possiedono una certa aria British che francamente stona un po’ col resto del programma, incentrato su potenti brani di guitar rock (Light Aircraft On Fire, Everything You Say Will Destroy You), malsane ballate cariche di mal di vivere (Married To A Lazy Lover, Fear Of Flying) e occasionali rimandi al Glam che fu (New Brat In Town). Ciliegina sulla torta del disco è Tombstone, per chi scrive forse il miglior brano mai composto da Haines; attitudine R’N’R caracollante che si stempera in un ritornello dal gancio melodico irresistibile. Anche in questo caso, lussuosa expanded edition ricca di b-sides (tra cui spicca l’acustica Car Crash), unrealeased tracks e versioni alternative.
Il disco non vendette secondo le aspettative della Virgin, così il successivo How I Learned The Bootboys suonò un po’ come la prova da ultima spiaggia. Ad acuire il senso di crisi ci si misero pure le paturnie del buon Haines, il quale, forse desideroso di esplorare nuove strade e un po’ stanco dei suoi vecchi sodali, fonda prima gli sperimentali Baader Meinhof e poi, in coppia con Ian Bickerton, i più ambiziosi Black Box Recorder. In tutto questo Banbury ed il resto degli Auteurs (Alice Readman e Barney C Rockford) restano a guardare in attesa di nuovi sviluppi. Il quarto album della band vede la luce alla fine del 1999; è il lavoro meno riuscito della band a causa della sua disomogeneità, tra brani che Haines non sa se destinare al vecchio gruppo o al nuovo progetto (The Rubettes), esperimenti di Dance infarcita di synth (la title track), esplosioni rabbiose quanto estemporanee di punk andato a male (Your Gang, Our Gang) e tentativi in extremis di piazzare l’hit single esplicitamente richiesto dalla label (la buona Some Changes). La perla gli Auteurs la piazzano proprio alla fine con Future Generation, glam space rock (ancora) futuribile che chiude il discorso con i lapidari versi “This is a song for the future generation/this music could destroy a generation”. La cosa bizzarra dell’ultimo periodo degli Auteurs sta nella scelta delle canzoni da includere nell’album; resta un mistero come si sia potuto lasciare fuori una struggente e sofferta – E molto Sparklehorse oriented – Get Wrecked At Home in favore delle scialbe Asti Spumante e Sick Of Hari Krisna. Ma forse il mistero è facilmente svelabile e spiegabile dal crescente senso di confusione ed incertezza per il futuro che aveva investito la band a quel punto della loro carriera. Il secondo cd raccoglie un’intera esibizione live – la loro ultima – al LSE nel Novembre del 1999. Da lì a poco gli Auteurs sarebbero stati storia. Haines continuò ancora un po’ con i Black Box Recorder per poi intraprendere la carriera solista.
Queste preziose ristampe permettono di riscoprire una band che molto probabilmente meritava un pochino di più di quello che ha effettivamente avuto. Quattro dischi sono comunque un buon lascito per una band che negli anni (effimeri?) del Brit Pop si è potuta confrontare e proporsi come un valido e caparbio outsider  ai giganti inglesi dell’epoca.

Denis Prinzio
Denis Prinzio
Denis Prinzio è bassista di numerose band underground ora in congedo temporaneo, scribacchino di cose musicali per sincera passione, la sua missione è scoprire artisti che lo facciano star bene.

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