lunedì, Dicembre 23, 2024

The Bluebeaters – Everybody Knows: la recensione

Chi scrive non è un grande amante della musica in levare, ma quando sente il suono originale Trojan o qualcosa che ad esso sia legato spiritualmente o filologicamente riesce ad apprezzare, specialmente se è un bel pomeriggio d’estate e c’è la possibilità di sorseggiare non un mojito ma un più semplice tè freddo.
Everybody Knows dei Bluebeaters (da noi intervistati pochi mesi fa) è un disco che merita di rientrare nella sopra citata categoria, perché segna, dopo la separazione da Giuliano Palma, figura diventata forse troppo ingombrante, un vero e proprio ritorno alle origini del suono della band, l’original ska che dalla Giamaica sbarcò in Europa a inizio anni Sessanta assieme ai primi emigrati caraibici e che da allora ha fatto tanti proseliti, tra cui proprio i musicisti che ormai da vent’anni formano la band torinese.

Il collegamento diretto con la Giamaica di 50 anni fa è certificato dalla presenza in scaletta di classici di quel periodo come Somebody Has Stolen My Girl, Catch That Teardrop o True Confession, alcuni propriamente originali mentre altri provenienti dall’allora vicino mondo soul americano, ed è poi confermato dal mood scelto per le cover, che come da copione provengono da mondi diversi ma vengono tutte portate perfettamente all’interno del mondo Bluebeaters.

Ci sono sia brani più avvicinabili al levare, se non altro per la provenienza da generi e sottoculture che col reggae hanno avuto a che fare, in particolare Roll With It degli Oasis, gruppo molto amato dai Mods, e Teenage Kicks degli Undertones, che cammin facendo diventa Revolution Rock dei Clash, sia altri per cui il lavoro di riarrangiamento è stato sicuramente più difficile e particolare. Tra questi spiccano in particolare The Model, in origine degli algidi e tutt’altro che solari Kraftwerk, Girlfriend In A Coma degli Smiths (anche loro non proprio gioiosissimi) e Hungry Heart di Bruce Springsteen, un po’ più allegro ma sicuramente non molto legato alla Giamaica.

Il disco scorre quindi assai piacevolmente, tra una sorpresa e l’altra (ad esempio Toxic, che fu già singolo di lancio qualche mese fa), prima del finale affidato agli End Titles di Blade Runner e all’unico brano in italiano della scaletta, La mia geisha di Luigi Tenco, a far capire che il legame con gli anni Sessanta italiani non è del tutto svanito con l’uscita di Palma dal gruppo.

Bentornati Bluebeaters, allieterete i miei pomeriggi estivi, e spero quelli di molti altri.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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