Terzo album sulla lunga distanza per The Bronzed Chorus, formazione di Greensboro dedita ad un rock strumentale di non così facile definizione.
Adam Joyce (chitarre) e Hunter Allen (alle pelli) mescolano poliritmie di derivazione etnica con armonie aperte e solari memori dei primi Pinback ma con una maggiore solidità strutturale, tanto da avvicinarsi, ma solo per attitudine, alla drammaticità di formazioni come Mono e Mogwai.
In realtà Summering, pur facendo fede al titolo, elabora un suono che sta a metà tra i Cure di Disintegration e certe suggestioni Afrobeat, grazie a intarsi complessi e stratificatissimi che sono lontani anni luce dalla “retorica” math normalmente assimilata da band di questo tipo, spesso troppo legate all’ondata degli anni novanta.
Summering è in questo senso un album coraggioso che apre altri mondi sonori, tra ambient, psichedelia, metal, ritmi orientali, atmosfere californiane e improvvise emersioni che ricordano una strano ibrido tra i King Crimson degli anni ottanta, quelli condivisi tra fripp e sopratutto Adrian Belew e schizoidi derive minimal (Rodeo Rodeo, Widdely Wah).
Un po’ come succedeva con i formidabili Ruins, capaci di spingere i limiti del crossover verso lidi mai sentiti, The Bronzed Chorus estremizzano concetti sonori in qualche modo già elaborati, facendoli letteralmente esplodere, proprio per questo le influenze Jazz o quelle post-King crimsoniane, diventano irriconoscibili e proiettate verso una dimensione positivamente parodica, vicina ma anche molto lontana da quello che i Battles hanno già fatto in questo senso.
Con un abilità tecnica fuori dal comune, Joyce e Allen realizzano un album esaltante, adrenalinico e allo stesso tempo dalla rara forza evocativa.