giovedì, Novembre 21, 2024

The Jesus And Mary Chain: Crocifissi allo schermo

Il 31 agosto del 1987 usciva "Darklands", il secondo album di The Jesus And Mary Chain. A 33 anni di distanza il rifiuto e l'adesione nei confronti degli schermi, è ancora una rivelazione

Cresciuti guardando Marc Bolan e David Bowie a Top of The Pops, i fratelli Reid ci arrivano nel 1987 con “April Skies“, completamente ubriachi. Un modo bizzarro per coronare un sogno, oppure ripercorrere i passi dei propri miti, investendoli con il nichilismo distruttivo del presente.
L’olimpo catodico e la pantomima del lip-sync, vengono improvvisamente violati. La cornice televisiva per un momento si spezza. Questo tentativo di violentare l’immutabile promo-television della BBC gli costerà l’esilio perenne dal format.

Due anni prima, mentre i nostri suonano in un set costituito da detriti industriali allestito per la TV Belga, distruggono fisicamente gli oggetti di scena, ma tutto rimane nella cornice, perché il gesto è una rimessa in atto degli show a base di alcool e violenza che avevano segnato la prima, intensissima fase dei Jesus And Mary Chain nella relazione con il pubblico, fino alla pubblicazione di “Psychocandy“.

Il recupero di un vasto e contrastante mondo sonoro, da Phil Spector ai Velvet Underground, nella combinazione tra canzone pop e rumore estremo, si traduce nell’immagine video che i Reid dichiarano candidamente ispirata a quella dei Monkees.
Più che un depistaggio, è un ennesimo riferimento di origine catodica, legato alla natura squisitamente televisiva della band di Michael Nesmith, nata in seno alla Screen Gems Television da un’idea di Bob Rafelson e Bert Schneider. 

La fine della prima metà degli anni ottanta coincide con uno dei momenti più incendiari della storia britannica: lo scontro feroce tra l’Unione Nazionale Minatori e la Thatcher, la violenza che invade altri segmenti sociali, i grandi disordini di Brixton dopo la morte di Dorothy “Cherry” Groce per mano della polizia, quelli di Tottenham dopo la morte di Cynthia Jarrett nel suo appartamento, in seguito ad una perquisizione della municipale.
Le conseguenze di questo clima difficile bucano anche lo schermo televisivo: è il 29 maggio 1985, poco prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles, gli hooligans sfondano le reti divisorie, terrorizzando i tifosi italiani e causando la morte di 39 persone.

Il live Aid è del mese successivo e in qualche modo viene percepito dai Reid come un anestetico, una pezza sopra l’orrore e la violenza, l’ennesima saldatura tra musica, business e potere, nonostante le intenzioni. 

L’esperimento di broadcasting globale ideato da Geldof proietta la fruizione televisiva verso il decennio successivo, mentre l’esperienza dei Jesus And Mary Chain rimane brutalmente radicata alla decostruzione della rockstar moderna, mitopoiesi inclusa. 

Wharoliani, Velvetiani e post-punk, imbevuti di cultura sixties filtrata dal bombardamento catodico seriale, ne accolgono e ne rigettano gli elementi costitutivi incorporando tutto l’indicibile, dalla violenza di strada all’esasperazione dei teenage dramas, tanto da rilanciare persino l’estetica delle Shangri-Las, cogliendone gli aspetti più crudeli ed esistenziali e trasformando il racconto di formazione in un estremo desiderio suicidale.

La TV, come set e come oggetto incorporato nello stesso, diventa un segno distintivo della loro immagine. La direzione di Greg Allen per gli artwork della band evidenzia l’occhio vitreo dell’acquario televisivo: in “Psychocandy” la band è fotografata dallo schermo; in “Darklands” l’effetto è il medesimo, con un totem di teleschermi sullo sfondo; il singolo di “April Skies” riproduce un fotogramma di “The Jesus Trip”, il film diretto nel 1971 da Russ Mayberry e per l’occasione fotografato direttamente dall’estremità del tubo catodico. La silhouette potrebbe benissimo esser scambiata per una dei fratelli Reid, in una continua messa in abisso della propria immagine in mezzo ad altre.

Jesus And Mary Chain – “April Skies” 12″
Una fotogramma da “The Jesus Trip” , il film prodotto da Eve Meyer nel 1971

Tim Broad, videomaker ufficiale di Morrisey e autore di un buon numero di promo realizzati a partire dalla seconda metà degli ottanta, dirige quasi tutte le clip di “Psychocandy” e continua con la promozione di “Darklands” girando solamente “April Skies“.

Mentre la title track del secondo album dei Jesus And Mary Chain viene affidata a Peter Fowler, sarà John Maybury, fido collaboratore di Boy George e Marc Almond, a prendere le redini di “Happy When it rains“. 

Le tre clip provengono dalla stessa matrice ed esattamente come quelle realizzate per “Psychocandy”, mantengono una forte connessione cromatica e costitutiva con l’artwork dell’album, ampliandone le caratteristiche e combinando alcuni elementi della cultura psych, a partire dal serbatoio Wharoliano dell’Exploding Plasting Inevitable, caposaldo del cinema espanso, dove l’illuminotecnica occupava uno spazio fondamentale nella creazione di un’esperienza totalizzante. Per i musicisti formatisi tra gli anni settanta e gli ottanta, The Velvet Underground in Boston (1967), successiva incarnazione dello show Wharoliano, rappresenta un modello imprescindibile, a partire dal sistema di luci messo a punto da Danny Williams, parte di quel gruppo creativo che insieme a Tony Conrad esplorava gli effetti della luce stroboscopica sulla retina.

The Flicker (1965) cortometraggio diretto da Williams e già allineato con le tecniche che saranno trasposte su palco, viene definito dallo stesso autore come un  “viaggio allucinatorio attraverso recessi inesplorati di pura disgregazione sensoriale” . Il modo in cui la luce stroboscopica taglia e riconfigura la frequenza temporale dei fotogrammi nei film di Wharol girati con i Velvet, viene descritto da Jonas Mekas come un effetto stop motion tra movimento e unità cellulare del fotogramma, la cui caratteristica principale è quella di individuare il bianco stesso della luce stroboscopica, un punto cieco, il nulla, particella e “grana” del fotogramma stesso. 

Questo sistema radicato nelle qualità effimere e mutevoli della visione, viene riletto dai Jesus And Mary Chain in relazione al bombardamento mediale del decennio giunto a metà percorso, come aggregazione di segni impazziti. Le illusioni e i fallimenti delle controculture vengono triturati dall’occhio televisivo, ri-allocati in un nuovo sistema di relazioni mnemoniche e sostituiti da una disperata ricerca del vuoto, alla vigilia dell’accelerazione connettiva che caratterizzerà i nuovi “villaggi globali” della comunicazione.

Il video che più di tutti mette a fuoco questi aspetti, determinando di fatto un marchio di fabbrica che caratterizzerà anche le clip degli anni successivi, è quello diretto dallo stesso Jim Reid per il brano intitolato “Kill Surf City“, b-side del 12 pollici di “April Skies”, poi inserito nella versione “expanded” di “Darklands”.

Introdotto dall’incipit di “Hells angels on wheels” di Richard Rush, montato con il dropping di alcuni fotogrammi, proprio per creare quel difetto percettivo di cui parlavamo, è una clip interamente costituita dall’incepparsi della continuità del movimento, un progressivo batter di ciglia che lascia tracce successive nel corso della visione. Alterazione della temporalità e allo stesso tempo, macchina onirica, che guarda ancora una volta alla ripetizione Wharoliana e alle tessiture di luce e colore. Anche le spiagge losangeline dei Monkees sognate dai fratelli scozzesi trovano spazio in una reverie di polarità opposta, con i Reid filmati a passo ridotto e un montaggio che riproduce l’alternanza di luce e assenza dei dispositivi stroboscopici. 
Torna anche la sequenza di “The Jesus Trip” che occupava l’intero artwork di “April Skies” e che sarà recuperata in alcuni video a venire.

Frammenti cinematografici, lettering, ri-mediazioni del proprio passato e dell’immaginario rock’n’roll, oltre all’unità della performance scomposta in altrettante schegge sensoriali, saranno gli elementi che da Kill Surf City in poi caratterizzeranno tutte le clip dei Jesus And Mary Chain.

Ci sarà spazio per strategie già viste, come il frammento da “The Jesus Trip” nuovamente inserito nel video di “Reverence” e per alcune dichiarazioni di intenti: “And I’m television sick and I’m television crazy”, verso centrale nel singolo di “Far Gone and out”

I nostri occhi, crocifissi agli schermi. 

Jesus and Mary Chain – Kill Surf City – Dir: Jim Reid

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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