The Long Ryders – Final Wild Songs: 1983-1985, il suono selvaggio di una band dimenticata

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Agli inizi degli anni ottanta da quello che era rimasto dei losangelini The Unclaimed si formano The Long Ryders. La line up originale era formata da Sid Griffin alla voce ma anche chitarra e autoharp, il bassista Des Brewer, rimpiazzato presto da Tom Stevens, Greg Sowders alle pelli.

Dovessimo trovare un termine adatto per definire il suono dei nostri, forse quello di “alt country”, prima ancora che il genere fosse completamente codificato, risulterebbe quello più adatto. Le influenze dei Ryders venivano certamente dall’ascolto di The Byrds e Buffalo Springfield, ma passati al setaccio della cultura punk, in perfetto stile Paisley Underground.

Se si esclude il successo da heavy rotation di “Looking for Lewis and Clark“, singolo che veicolava “State of our union”, secondo album della band e primo ad essere pubblicato per una major, The Long Ryders possono essere considerati come una delle band dimenticate della prima metà degli anni ottanta.

Il loro successo fu in larga parte consacrato nel 1985 dal pubblico britannico e se prima di “State of our union” con l’ep “10-5-60” e il primo full lenght intitolato “Native Sons” i nostri avevano dimostrato gran mestiere e aderenza totale allo spirito del rock’n’roll, è proprio con l’album maggiormente votato alle masse che introducono un marcato punto di vista politico denunciando i guasti della politica reaganiana con brani come “Two kind of love”, “Good times tomorrow, hard times today”, ma anche “WDIA”, che nel raccontare la stagione delle emittenti radiofoniche di Memphis votate all’R&B, identificava uno spirito unitario genuino attraverso il potere della musica, capace di mettere insieme le persone ed eliminare le differenze.

Messi a confronto con Hüsker Dü, Dream Syndicate e R.E.M. The Long Ryders sembrano connettersi alla scena di quegli anni con maggiore ingenuità. Nei due anni che separano “State of our Union” e il capitolo conclusivo della loro carriera “Two-Fisted Tales” la band partecipa alla campagna pubblicitaria televisiva per la Miller Brewing e i fan della vecchia guardia non gli perdonano la scelta.

Se nei primi lavori il tentativo dei Ryders è quello di portare una ventata di rinnovamento al country-rock recuperando l’honky tonk più violento per cercarne una connessione elettiva con il punk più basico, quello che potenzia il rock’n’roll lasciandone intatta la scrittura classica, “Two-Fisted Tales” perfeziona queste idee consegnando forse i brani più convincenti della loro carriera, basta pensare all’incendiaria “Gunslinger Man” e agli antipodi, la crepuscolare “I want you bad”.

Dopo più di un anno di lavoro, Tom Stevens e Sid Griffin mettono insieme questa imprescindibile raccolta, un box di ben quattro CD uscito lo scorso 22 gennaio per la Cherry Red e intitolato “Final Wild Songs”.

I primi tre Cd contengono tutta la discografia pubblicata su etichette indipendenti fino al passaggio su Major oltre a otto inediti, nove brani usciti solamente negli Stati Uniti, le versioni live di “Looking for Lewis and Clark” per una serie di show radiofonici e televisivi. Il quarto Cd comprende l’intero live che la band eseguì nel 1985 a Goes, ridente città Olandese, giusto per offrire un quadro completo delle potenzialità di questo formidabile e incendiario quartetto.