The National sono uno fra i gruppi più bendisposti nei confronti del proprio pubblico. Ne avevo già avuto il sentore in occasione del live sui parchi del Nos Primavera Sound di Porto, ed è stato nuovamente confermato durante il concerto di martedì 29 luglio per il festival Teneramente a Gardone Riviera. Matt Berniger i fratelli Davendorf e i gemelli Dessner accompagnati dagli ottimi turnisti Kyle Resnick e Benjamin Lanz, per un’ora e mezza hanno dimostrato una cosa fondamentale: che non serve ostentare antagonismo e distaccato per conquistarsi il pubblico, che a volte la scontrosità può cedere il passo ad un comportamento più disinvolto, meno da star e più profano, ma nonostante ciò vincente e ripagato a gran voce dal pubblico.
Il concerto inizia seduti, ma basta poco perché l’Arena del Vittoriale si addensi sotto il palco a formare fila imbacuccate nel gore-tex e nelle cerate. Nel giro di tre canzoni la fisionomia dell’anfiteatro cambia; non più fila ordinate ma gruppi di persone che cantano a squarciagola, seguono i movimenti gibbonici di Matt Berniger, lo sorreggono nei suoi pericolosi e traballanti sporgersi dal palco prendendosi, cautamente, cura di lui. In realtà è la voce profonda, calda e avvolgente di Matt a prendersi cura del pubblico, accompagnandolo lungo un percorso travagliato, romantico sì ma il più delle volte decadente e che s’avvia alla fine mantenendo un certo decoro anche nel momento del declino. Attingendo in gran parte dall’ultimo album, Trouble Will Find Me, e meno da quelli precedenti, The National non si dimenticano di aprire finestre su Alligator (The Geese of Beverly Road, Abel), High Violet (Bloodbuzz Ohio) e Boxer (Guest Room, Fake Empire) bilanciando in modo discreto le attese sulla setlist. Ma sviscerare la scaletta dice poco sullo spessore del concerto. La fisicità è la componente decisiva del live de The National e nonostante non si esprima in salti, capriole o balli audaci, il senso fisico pervade ogni minuto del concerto. La massa del gruppo di Cincinnati si mostra in altre cose: nei colpi inflitti a terra al manico della Gibson da Bryce Dessner, nella condivisione di Matt del proprio calice di bianco col pubblico e, in primis, nel consueto linciaggio a cui Matt si sottopone sulle note di Mr. November. Viene da pensare che il cavo di quel microfono sia sempre troppo corto e se ci fosse qualche metro in più Matt uscirebbe dal teatro, dallo stadio o dal parco ospitante per cantare in faccia al primo passante I’m Mr. November, I won’t fuck us over.
Se è vero che fra palco e platea esiste un muro invisibile, un limite invalicabile che tiene separate due percezioni dello spazio come fossero due mondi non comunicanti, un concerto dei The National dimostra il contrario e mi auguro che possa essere sempre così.