La storia della “all female” rock band che ha influenzato molte musiciste dell’ampio bacino “riot” durante gli anni novanta, si è sedimentata tra ascolti e immaginario qualche decennio dopo la loro brevissima avventura discografica.
Al mondo di transizione tra glam e punk che The Runaways hanno attraversato, Floria Sigismondi ha dedicato un film “infedele” per quanto riguarda il dettaglio filologico, ma con alcuni spunti interessanti per definire la mutazione di quella semantica rock di dominio maschile, riletta con un’aderenza così smaccata ad alcuni stereotipi sessisti, da rappresentarne un furibondo rovesciamento.
Nate da una collisione tra lo spirito individualista di Joan Jett e l’ansia di controllo di Kim Fowley, la band pubblica quattro album in studio e un live registrato in Giappone, tra il 1976 e il 1978.
Nelle mani del re mida del rock ad alta deperibilità, suoni e attitudini che già erano presenti nella discografia di Alice Cooper e dei Kiss, accendono un’energia primigenia inedita che si imbratta di sesso, perdizione e sangue mestruale.
Mentre non lasceranno tracce rilevanti negli States, nonostante un contratto con la Mercury Records, il successo vero arriverà dal Giappone, terra di estremi opposti, dove le attitudini visual avevano individuato nella figura di Cherie Currie un’icona irresistibile.
Fowley si ritaglierà un ruolo invadente e in eccedenza rispetto a quello del produttore, estremizzando tutte le caratteristiche abusive, borderline e violente del decennio. Molte le testimonianze che hanno cercato di riscrivere la storia della relazione tra le Runaways e il noto produttore americano, a cominciare dal punto di vista di Jackie Fox, prima bassista della band dal 75 al 77 e vittima di un sistema che considerava lo stupro un rito di passaggio necessario.
Con una formazione in continuo cambiamento nonostante la concisa storia produttiva, il cuore della band era rappresentato dalla chitarra ritmica di Joan Jett, quella solista di Lita Ford, la batteria di Sandy “Pesavento” West, la voce dell’iconica Cherrie Curie e il basso di Jackie Fox.
Miracolosamente sospese tra hard rock, punk e armonizzazioni ancora legate alle girl band dei sessanta, prima che le rispettive strade soliste di Joan Jett e Lita Ford cominciassero a flettere da una parte o dall’altra, The Runaways sono una di quelle band “terminali” rispetto al decennio di riferimento. Chiudono i settanta con un’ansia indomabile per il successo, ma ne sondano limiti, sporcizia, violenza e crudeltà, tanto da rappresentare, per più di un motivo, la fine del sogno americano che scorge già la nuova grande truffa, quella dell’industria porno. Cherie Currie, definita da Kari Krome come la figlia immaginaria di Iggy Pop e Brigitte Bardot, abita perfettamente quella terra di transito tra innocenza e perversione, abitata anche da Linda Lovelace.
The Runaways vengono celebrate con un’ottima raccolta pubblicata da Cherry Red, già label nella fase conclusiva della band, quando il quartetto, con una formazione già cambiata, pubblicherà il quarto album da studio intitolato “And Now… The Runaways“.
Nel Boxset in formato Clamshell, sono inclusi i quattro album da studio e il live registrato in Giappone. Il cofanetto è corredato di un bel booklet a colori, realizzato con la consueta cura e attenzione per l’approfondimento che caratterizza i prodotti della label britannica.
The Runaways, Neon Angels on the road to ruin 1976-1978, 5CD Box Set si acquista sul sito ufficiale Cherry Red per sole 30,99 EURO. Vi ricordiamo, che gli acquisti sullo shop Cherry Red, nonostante provengano dall’Inghilterra, non sono sottoposti a spese doganali. Come abbiamo raccontato da questa parte, la label inglese è una delle poche realtà oltremanica ad aderire al regime opzionale IOSS, che consente ai clienti europei di acquistare senza spese aggiuntive, nonostante la Brexit.
Di seguito il nostro video unboxing per vedere cosa c’è nella scatola dedicata all’intera discografia delle The Runaways.