martedì, Dicembre 24, 2024

The Stepkids: il nuovo Troubadour, tra black music e psichedelia

The Stepkids sono un trio con un background ben piantato nelle radici del funk, della psichedelia e di un certo tipo di Jazz, nonostante questo compongono con un’idea pop ben precisa.

La Stones Throw records pubblicherà a settembre quello che è a tutti gli effetti il seguito del loro debutto omonimo, intitolato Troubadour, che rappresenta la fusione perfetta tra questi mondi musicali, con una notevole capacità di passare dall’immediatezza del groove a forme strumentali più eclettiche e sperimentali; ascoltando il loro ultimo lavoro si viene colpiti da suggestioni che ricordano il primo Stevie Wonder, gli Steely Dan e quella creatività combinatoria tipica di band come Hot Chip.

Merito dell’esperienza dei nostri, che negli ultimi dieci anni hanno condiviso il palco con artisti come Alicia Keys, 50 Cent, Lauryn Hill, Kimbra, fino ad arrivare al 2009 quando si sono ufficialmente costituiti come band per veicolare la propria musica, un mix letale tra soul, psichedelia, jazz fusion, funk, R&B, elettronica tra anni ’80 e micromusic.

Troubadour non fa altro che consolidare questa ricerca attraverso un album con un concept narrativo che segue le avventure i travagli di un personaggio di finzione nel suo incontro con l’amore, la vita sulla strada e i ricatti dell’industria discografica, una sorta di romanzo di formazione che sembra ben ancorato a spirito, strategie e suggestioni degli anni ’70. 

Lo ha dichiarato lo stesso Dan Edinberg, bassista della band: ” Troubadour è in forma estrema quello che siamo noi” – “un personaggio in cui tutti possono riconoscersi” ha aggiundo Tim Walsh, il batterista. Al di là dei riferimenti autobiografici, l’album conferma la maturità della band nel gestire stili così differenti e nel costruire una personale lettura dello spirito psych-funk, con i piedi ben saldi entro una sensibilità del tutto pop assolutamente contagiosa, la stessa che ha consentito alla band di lanciare recentemente una serie di cover dal repertorio di artisti come   Rihanna, Justin Timberlake, Daft Punk

Brani come The Lottery,  Sweet Salvation,  Symmetry,  Moving Picture, passano dal Jazz al funk orchestrale con una disinvoltura impressionante, e ancora The Art of Forgetting o Bitter bug ci presentano la versione più destrutturata della band, che allo stesso tempo, oltre ad una matrice improvvisativa ben marcata,  mette insieme senza paura il Donald Fagen più melodico, la musica brasiliana, e le intuizioni dell’R&B più minimale. Una psichedelia per il nuovo millennio, antiretorica, antinostalgica, divertente e appiccicosa, collocata tra alto e basso,  totale.

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Stefano Bardetti
Stefano Bardetti
Stefano Bardetti, classe 1974, ascolta musica dai tempi appena precedenti al traumatico passaggio da Vinile a CD; non ha mai assimilato il colpo e per questo ne paga le conseguenze.

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